In una lunga ed articolata intervista Éric Denécé, direttore del CF2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), formula un’analisi lucida e in controtendenza sull’attuale conflitto tra la Russia e l’Ucraina. Si tratta di una analisi che presenta più di un punto in comune con quelle che abbiamo avuto modo di fare sul Sussidiario, ma anche con quelle svolte in Italia da Fabio Mini, Gianandrea Gaiani, Alessandro Orsini e Sergio Romano. Ma entriamo nel dettaglio.



Secondo l’analista francese, se si considera la Russia come aggressore in questo conflitto, coloro che l’hanno spinta a questo attacco sono senza dubbio gli Stati Uniti, la Nato e il governo Zelensky. Quella combattuta dall’Ucraina è una vera e propria guerra per procura, determinata dal fatto che se la Nato non si fosse costantemente ampliata, se Francia e Germania fossero state in grado di imporre a Kiev il rispetto degli accordi di Minsk e se Zelensky e il gruppo di potere che lo esprime non avessero ascoltato i consigli dei loro mentori americani, non saremmo arrivati a questo punto.



In secondo luogo gli Stati Uniti hanno saputo porre in essere un’efficacissima guerra dell’informazione. Secondo lo studioso francese infatti dall’autunno 2021 Washington ha inventato uno scenario mediatico che ricorda quello che ha legittimato l’invasione dell’Iraq nel 2003, con il triplice obiettivo di indurre Mosca all’azione, mobilitare gli europei dietro gli Stati Uniti e la Nato e distogliere dai problemi di politica interna che il presidente Biden deve affrontare.

Si sarebbe trattato dunque di una strategia finalizzata alla provocazione? Denécé non ha dubbi. La strategia americana era chiara: provocare un incidente nel Donbass per innescare una reazione russa. Purtroppo non è la prima volta che gli americani ricorrono a questo tipo di sotterfugio per assegnare il ruolo dell’aggressore e giustificare una risposta “legittima”: prima nel Golfo (Iraq, 1991), dove Washington ha trasmesso falsi segnali a Saddam Hussein, facendogli credere di poter invadere il Kuwait senza conseguenze; e poi con la guerra in Iraq (2003).



Gli Stati Uniti, secondo lo studioso francese, non hanno mai cercato una mediazione politica con la Russia. Al contrario. Dall’autunno 2021, vedendo che la Russia si rifiutava di accedere alle loro ingiunzioni inaccettabili, gli americani, invece di cercare di ridurre la tensione, hanno aumentato le provocazioni contro Mosca. Quindi, piuttosto che spingere gli ucraini a negoziare con le repubbliche del Donbass (che non erano separatiste e chiedevano solo l’autonomia linguistica), come previsto dagli accordi di Minsk, hanno invece inviato i loro consiglieri militari. Ma l’aspetto più paradossale – secondo lo studioso francese – è il fatto che il segretario generale dell’Alleanza atlantica, ha dichiarato che non sarebbe stato fatto alcun compromesso sul diritto di ogni nazione in Europa a scegliere il proprio destino. In questo modo gli Usa hanno sancito concretamente il diritto ad avere una loro sfera di influenza, nello stesso tempo negando questa facoltà alla Russia.

Parallelamente a questa guerra dell’informazione, dalla fine del 2021 gli occidentali (americani, inglesi, svedesi, italiani e francesi) hanno moltiplicato i voli di ricognizione finalizzati all’ottenimento di informazioni elettroniche vicino ai confini russi e bielorussi. Poi, all’inizio del 2022, gli inglesi hanno iniziato a consegnare armi a Kiev. Nonostante questo, la Russia ha mantenuto un atteggiamento di moderazione, come accadde nel 1962 durante la crisi missilistica di Cuba.

Esiste tuttavia un altro aspetto di grande rilevanza che mette in evidenza lo studioso francese. Come dimostrano numerosi studi storici relativi alle cause che determinano una guerra, spesso queste sono determinate dalla volontà di distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni. La guerra in Ucraina non sarebbe un’eccezione.

La politica americana nei confronti della Russia, secondo Denécé, è in parte dovuta alla necessità di Biden di operare una diversione di fronte alle crescenti difficoltà che incontrava nella politica interna. Infatti, ad un anno dal suo ingresso alla Casa Bianca, l’azione di Biden presentava numerosi problemi: inflazione al 7%, gestione irregolare del Covid, rifiuto della sua legge sul lavoro da parte della Corte Suprema, progetti di riforma bloccati al Senato (rifiuto del piano di 1.750 miliardi di spesa sociale da parte del proprio campo, riforma elettorale non convalidata). Le difficoltà si stavano accumulando e il presidente americano era in una situazione di stallo. Gli spin doctors della Casa Bianca hanno quindi elaborato una strategia per salvarlo facendo credere che stesse impedendo l’invasione dell’Ucraina tenendo testa a Vladimir Putin. Così, più Biden era in difficoltà sulla scena domestica, più i suoi spin doctors aumentavano le tensioni con Mosca. Ma le difficoltà interne che Joe Biden stava affrontando continuavano. E qui lo studioso francese rivela particolari inediti al pubblico italiano.

Il 17 febbraio 2022, il Senato adottò un disegno di legge provvisorio per prolungare il finanziamento del governo federale fino all’11 marzo, dando ai parlamentari tre settimane per sviluppare un bilancio annuale (Budgetary Resolution). Il Paese si trovava in una situazione di stallo: se un accordo tra il Congresso e la Casa Bianca non fosse arrivato prima dell’11 marzo 2022, ci sarebbe stata un’interruzione dei finanziamenti federali; gli stipendi dei dipendenti pubblici non sarebbero stati più pagati e le spese governative – in particolare militari – non sarebbero state più sostenute. Era una battuta d’arresto molto seria per Biden, che aveva quindi tutto l’interesse che scoppiasse una grande crisi in Ucraina per permettergli di superare il blocco del Congresso. Contestualmente gli analisti del Pentagono aumentarono le pressioni sul Donbass costringendo la Russia a intervenire militarmente in Ucraina e quindi screditandola a livello internazionale, separandola dall’Occidente e in modo particolare dalla Germania.

Un altro motivo, più strategico, è stato quello di indebolire la Russia nella prospettiva di un futuro scontro con la Cina. E l’Ucraina è stato il teatro scelto per intrappolare Mosca.

Ma è necessario fare un’altra osservazione in merito all’efficacia della guerra di informazione condotta in Occidente.

Occorre riconoscere agli spin doctors d’oltreoceano un innegabile talento per aver messo in scena la minaccia russa. Le somiglianze tra l’attuale crisi ucraina e la preparazione per l’invasione dell’Iraq nel 2003 sono numerose. Gli americani hanno costruito una minaccia che non esisteva e hanno così innescato un’operazione psicologica su larga scala sperando che le loro profezie si avverassero e che la Russia commettesse un errore che permettesse loro di sanzionarla. Nel 2003, dopo un’intensa campagna mediatica basata su false accuse, Washington invase illegalmente l’Iraq, superando la decisione dell’Onu e violando palesemente il diritto internazionale.

Secondo lo studioso francese, l’attuale guerra va contestualizzata in modo molto più ampio. Dalla fine della Guerra fredda, Washington ha mostrato un maggiore egemonismo, imponendo le sue leggi al resto del mondo, sanzionando e rastrellando i suoi alleati, saturando l’opinione di informazioni utili solamente ai suoi interessi, rifiutando di vedere i suoi cittadini portati davanti alla Corte penale internazionale (Cpi) e prendendo chiaramente le distanze dal rispetto dei diritti. Gli americani hanno condotto nel mondo una politica che risponde solo ai loro interessi. Nonostante ciò, gli Stati Uniti sono riusciti a convincere i loro alleati europei che il loro punto di vista era “la” verità oggettiva e che tutti coloro che indicavano come loro avversari rappresentano “il male”. Sono riusciti ad imporre – come durante la guerra in Iraq e come durante la guerra in Libia – una visione dicotomica della realtà, quindi profondamente falsata. Ovviamente, la realtà è molto diversa.

Ma ci sono elementi più tangibili per sostenere l’esistenza di una strategia per scopi egemonici da parte americana di fronte a una Russia circondata?

Denécé ricorda alcuni fatti di cui riferisce il rapporto dell’International Institute for Strategic Studies di Londra (Iiss) pubblicato nel febbraio 2022:

i) il bilancio della Difesa russo (62,2 miliardi di dollari) è al 5° posto nel mondo ed è 12 volte inferiore a quello degli Stati Uniti (754 miliardi), che a sua volta è superiore al totale cumulativo dei bilanci della difesa dei dodici Paesi che lo seguono in questa classifica;

ii) con un totale di 71,6 miliardi di dollari, il Regno Unito ha il 3° bilancio di difesa mondiale davanti a India, Russia, Francia (6°) e Germania (7°);

iii) il budget per la difesa russa è quindi inferiore del 15% a quello del Regno Unito ed è superiore solo del 5% a quello della Francia (59,3 miliardi).

L’analista francese nota inoltre che le forze statunitensi sono presenti in più di 170 Paesi in tutto il mondo. Conducono ovunque operazioni antiterrorismo, spesso senza l’autorizzazione degli Stati sovrani sul cui suolo intervengono. I russi sono presenti solo in Armenia, Siria, Bielorussia, Georgia e Kazakistan. Quindi la vera domanda che dobbiamo porci è: chi minaccia chi?

Dall’inizio della crisi, i russi hanno continuato a ribadire che non avevano alcuna intenzione di invadere l’Ucraina e che il loro dispiegamento militare aveva un solo scopo: dissuadere il regime di Kiev dall’intraprendere un’offensiva contro le repubbliche del Donbass. Putin ha negato ogni intenzione bellicosa esortando Washington, Londra e la Nato a “smettere di diffondere assurdità” e chiedendo loro di cessare le loro azioni ostili contro la Russia. Naturalmente, i russi hanno reagito ad ogni nuova dichiarazione aggressiva occidentale che a loro volta ha contribuito ad aumentare le tensioni. Mosca ha persino cercato di sfruttare il periodo di crisi che gli Stati Uniti stavano attraversando (assalto al Campidoglio, forti tensioni interne, ritiro dall’Afghanistan, crisi Covid) e la debolezza militare europea per formulare le sue rivendicazioni.

Secondo Fiodor Loukianov, presidente del Consiglio per la politica estera e di difesa russa (Svop), Vladimir Putin ha capito che per costringere gli interlocutori occidentali ad ascoltare Mosca, bisognava aumentare la tensione. La sua affermazione si basa su un’esperienza che Denécé condivide parzialmente: qualsiasi idea russa messa sul tavolo per cambiare gli accordi di sicurezza europei è sempre stata non solo respinta, ma ignorata. Putin ha concluso che se la Russia veniva ignorata, allora Mosca doveva agire in modo diverso.

Ecco perché i russi hanno fatto attenzione a non causare incidenti, nonostante il moltiplicarsi dei voli aerei e delle pattuglie marittime nelle immediate vicinanze del loro territorio. Da ottobre 2021 a febbraio 2022, si sono accontentati di rimanere fermi sulle loro posizioni e di denunciare la falsa campagna mediatica dell’Occidente per spingerli alla guerra.

Ricordiamo che l’11 novembre 2021, l’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite spiegava che Mosca “non aveva mai pianificato” l’invasione dell’Ucraina e che “questo non si avvererà mai, a meno che non siamo provocati dall’Ucraina o da qualcun altro e se la nostra dichiarò di non escludere che Kiev si sarebbe imbattuta in “una avventura militare” nel Donbass.

Infine, il 15 dicembre 2021, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, dichiarava che “l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato) continua a fornire aiuti militari all’Ucraina, il che non fa che aggravare il conflitto interno nel Paese. (…) I Paesi della Nato aumentano la fornitura di armi all’Ucraina, formano il suo personale militare, e non lo fanno con l’obiettivo mitico di mantenere la stabilità e la sicurezza, ma semplicemente per gettare olio sul fuoco”.

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