Una trattativa per la pace tra Ucraina e Russia. Non adesso, ma a metà 2025, quando le parti, finito l’inverno e stanche di una guerra costosissima per tutti, potrebbero ritrovarsi davanti a un tavolo e discutere. I mediatori, spiega Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, potrebbero essere diversi, anche l’Italia. Ma un ruolo potrebbero averlo pure India e Santa Sede. Nell’accordo andranno affrontate anche questioni religiose, relative alla divisione nella Chiesa ortodossa: Zelensky, infatti, ha messo fuori legge chi ha mantenuto rapporti con il Patriarcato di Mosca, un aspetto che dovrà essere considerato in vista di una pacificazione interna del Paese. Non per niente proprio questo è stato uno dei temi in agenda nell’incontro di ieri fra Papa Francesco e il presidente ucraino, che hanno parlato, oltre che della necessità di una pace giusta, anche della liberazione dei prigionieri.



Ieri Zelensky ha incontrato il Papa. La Santa Sede potrebbe svolgere un ruolo di mediazione in un’eventuale trattativa di pace?

Se ne sta parlando, la possibilità c’è. Nel colloquio possiamo riconoscere tre livelli: quello diplomatico-politico della pace giusta, che potrebbe vedere il Vaticano come mediatore; quello della diplomazia umanitaria, lanciata dal cardinale Zuppi, che riguarda la liberazione dei prigionieri; e, infine, quello della proibizione della Chiesa ortodossa ucraina legata a Mosca, decisa dal Parlamento di Kiev. Un provvedimento non gradito a Papa Francesco, che chiede di lasciare libertà di religione. Su questo tema c’è un po’ di tensione.



Ma il Vaticano può contribuire almeno a dare il via a un negoziato, sfruttando il fatto di aver tenuto i rapporti con entrambi i contendenti?

Trattative di pace ci sono già state all’inizio del conflitto, quando non c’erano mediazioni formali a livello internazionale, ma tanti personaggi che si proponevano come mediatori. Bisogna vedere se si seguirà questo metodo, poco formalizzato, oppure se si nomineranno alcuni Paesi per fare da intermediari. È presto per parlarne, bisognerà aspettare la metà dell’anno prossimo. Era prevedibile che si iniziasse a discuterne in autunno, con le elezioni americane in vista.



Perché dovremo aspettare metà 2025?

Gli ucraini, grazie alla loro offensiva nella regione di Kursk, hanno qualche carta in più da giocare, che i russi vogliono annullare avanzando, come stanno facendo da qualche tempo, sul fronte ucraino. Un quadro che non si modificherà molto prima dell’inverno. Alla fine della brutta stagione il conflitto potrebbe ricominciare oppure, visto che sostenere la guerra è costosissimo, si potrebbe pensare almeno a una conclusione temporanea.

Zelensky intanto ha fatto il giro delle capitali europee a chiedere forniture militari e a presentare il suo “piano per la vittoria”. Però ha ripetuto a più riprese che il 2025 potrebbe essere l’anno della pace. Ci crede davvero?

Più che credere alla pace, penso che sia un effetto inevitabile degli eventi bellici e dell’impossibilità di sostenerli più a lungo. Quelli che danno più armi agli ucraini, come Macron e gli americani, hanno promesso aiuti militari ancora per qualche mese, ma poi vogliono finirla lì. I Paesi che forniscono poco o niente, come Italia e Vaticano, hanno cercato di convincere il presidente ucraino ad avviare le trattative.

Chi potrebbe cercare di far parlare le parti?

L’Ucraina è aiutata dall’Occidente, compresa l’Italia, che però non traduce il sostegno in chissà quale invio di armi. Per questo potrebbe essere accettata dalla Russia come mediatore.

Si è ricominciato a parlare, però, di una possibile mediazione turca: Erdogan potrebbe tornare a essere il protagonista sulla scena?

La Turchia fra tutti è il mediatore più credibile. Tra l’altro ha già ottenuto l’accordo sul grano, anche se è durato solo un anno. È l’interlocutore visto meglio da russi ed europei. Ma potrebbe avere un ruolo anche l’India: Modi è andato sia a Mosca che a Kiev. Non credo che l’Occidente accetterebbe un ruolo per la Cina, mentre potrebbero averlo la Santa Sede, l’Italia o un altro Paese occidentale.

La mediazione turca si realizzerebbe sulla base di due principi: il congelamento del conflitto e la protezione della NATO per l’Ucraina. La Russia potrebbe accettarli?

Mosca non accetterebbe l’entrata dell’Ucraina nella NATO, ma potrebbe dire di sì a un accordo con l’Alleanza atlantica se non vengono toccati i territori annessi. I russi vogliono anche una zona demilitarizzata che comprenda Kharkiv, seconda città dell’Ucraina e sul confine con la Russia, nella regione di Belgorod. L’attacco a Kursk, che è nella zona, potrebbe voler dire che l’Ucraina non vuole cedere su quello.

Ciò che si potrebbe accettare, quindi, è una sorta di protezione dall’esterno sull’Ucraina della NATO senza una vera adesione?

La Turchia è nella NATO, ma non è stata accettata nell’Unione Europea, in qualche modo è in sospeso: potrebbe essere un modello di riferimento, quello di un Paese che è insieme all’Occidente, ma che in qualche modo ne tiene anche le distanze.

Tra le questioni da risolvere ci sono anche quelle religiose, legate alle divisioni nella Chiesa ortodossa?

Sì. Il Patriarcato di Kirill ha rapporti con il Vaticano, ma anche la Chiesa ortodossa ucraina storicamente legata a Mosca ha molti progetti con la Santa Sede. Nella parte di Chiesa ortodossa che in Ucraina è stata messa sotto il divieto governativo ci sono 10mila parrocchie, chiese e monasteri che devono dimostrare ognuna l’indipendenza da Mosca e non vogliono unirsi alla Chiesa autocefala nazionalista, sostenuta da Costantinopoli. Gli ortodossi ucraini che hanno un legame con il patriarcato moscovita hanno rapporti con Roma.

Una parte dell’eventuale accordo di pace Ucraina-Russia dovrà quindi riguardare i rapporti interni alla Chiesa ortodossa?

Penso proprio di sì, è uno dei punti socialmente più delicati della vita ucraina, decisivo per la pacificazione del Paese. Non a caso il Papa e Zelensky hanno parlato proprio della situazione religiosa in Ucraina.

(Paolo Rossetti)

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