Il più conosciuto dei dimissionari è senz’altro Dmitry Kuleba, titolare degli Esteri, ma con lui se ne sono andate altre cinque persone: il ministro delle Industrie strategiche Alexander Kamyshin, quello della Giustizia Denys Maliuska, il ministro dell’Ecologia Ruslan Strilets, il vice primo ministro per l’integrazione europea ed euro-atlantica Olha Stefanishyna e il vice primo ministro e ministro per la reintegrazione Iryna Vereshchuk. È l’ennesima epurazione ai vertici del governo ucraino voluta dal presidente Zelensky.
Le ragioni potrebbero essere molte: si va da possibili nuovi casi di corruzione alla necessità per il presidente ucraino (il cui mandato comunque è scaduto) di togliere di mezzo collaboratori con una personalità tale da potergli fare ombra. Per ora si possono fare solo delle ipotesi, osserva Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, tra le quali quella che ci debba essere un ricambio nello staff per affrontare possibili negoziati con ministri un po’ meno falchi di quelli attuali. Di certo Zelensky (e con lui l’opzione di continuare a combattere) non gode più di molti consensi in patria: secondo un sondaggio, dopo l’attacco di Kursk la sua popolarità sarebbe risalita al 15%. Prima, insomma, era ancora più bassa. Il conflitto, d’altra parte, ora fa comodo ai democratici USA, che non possono arrivare alle elezioni con una sconfitta senza rischiare di pagare dazio con Trump.
Zelensky ci ha abituato a cambiare molto nel suo staff, ma stavolta ha esagerato: quattro ministri, compreso quello degli Esteri Kuleba, più due viceministri. Come dobbiamo leggere questa epidemia di dimissioni?
Non ho certezze, ma ho dei dubbi. Prima è uscita la notizia che tre ministri avevano rassegnato le dimissioni, a quel punto la Presidenza ha dovuto far sapere che ci sarebbe stato un rimpasto di governo. Ci sono alcune opzioni da valutare: potrebbe essere un’operazione per togliere di mezzo un po’ di gente ultracorrotta, che ha già “mangiato” abbastanza, per dar loro modo di andare all’estero e lasciare spazio a qualcun altro. Un’ipotesi che non si può scartare: basta ricordare Oleksii Reznikov, ex ministro della Difesa, mandato via proprio per uno scandalo di corruzione, ora fa una vita da milionario fra la Gran Bretagna e la Costa Azzurra.
Il repulisti, però, in questo caso sarebbe stato più pesante che in quelli precedenti. Possiamo azzardare anche altre spiegazioni?
C’è l’ipotesi che Zelensky, ormai in caduta libera nel consenso popolare, si sia liberato di alcune persone per rimpiazzarle con dei fedelissimi. Questo nonostante il presidente abbia un mandato che è scaduto a maggio, visto che non si sono svolte le elezioni: magari per puntellare la sua posizione vuole attorno a sé persone che considera più fedeli, non dei rivali.
Kuleba, ad esempio, sempre alla ribalta per il suo ruolo sui media internazionali, poteva essere uno di quelli che avrebbe oscurato il presidente?
Sì, in questi anni da ministro degli Esteri si è fatto notare e in futuro sarebbe potuto emergere come un potenziale rivale. Zelensky, comunque, potrebbe anche aver pensato di togliersi di torno un po’ di falchi, gente che ha sostenuto la linea dura contro i russi, per gestire una eventuale fase negoziale a breve.
Kuleba, l’anno scorso, una volta uscite le prime voci sul suo “licenziamento”, aveva detto che se ne sarebbe andato se Zelensky non lo voleva più o se fosse cambiata la politica estera del Paese. La seconda ipotesi potrebbe fare al caso nostro?
Zelensky potrebbe anche aver rimosso gli uomini che hanno criticato l’azzardo dell’offensiva a Kursk. Qualcosa di più si capirà quando sapremo chi saranno i sostituti dei ministri uscenti. Si parla comunque di sostituire Kuleba con un viceministro: se così fosse, Zelensky metterebbe al ministero un uomo che non gli possa fare ombra come il suo predecessore.
Negli anni di guerra la rimozione dei suoi collaboratori è stata uno degli “sport” preferiti da Zelensky. Ma lui come fa a rimanere ancora in sella?
Ci sono state rimozioni anche tra i militari, basta pensare a Zaluzhny, rivale dello stesso Zelensky per la futura presidenza del Paese. Il presidente consolida il suo potere togliendo di mezzo chi non concorda con lui o ha un prestigio per fargli ombra: al momento viene tenuto in piedi dagli angloamericani. Anche all’interno del Parlamento ci sono critiche sui comandi militari, sulla gestione della guerra: l’impressione, da lontano, è che stia crollando tutto. Se poi domani crolla il fronte, Zelensky ha un elicottero sicuro per Londra o Washington.
E se l’attuale presidente non fosse più molto popolare?
Noi di Analisi Difesa abbiamo pubblicato un sondaggio secondo cui le quotazioni di Zelensky dopo l’attacco a Kursk sono “risalite” al 15%. Fonti ucraine dicono che ci sono 800mila maschi che si nascondono per non farsi arruolare, ai quali si aggiungono quelli che si trovano all’estero. A questi ultimi è stato detto che per rinnovare i documenti devono tornare in patria, con il chiaro intento di arruolare anche loro.
L’attacco, quindi, non ha cambiato la visione della guerra all’interno del Paese?
È chiaro che è stato fatto su input e pianificazione americana. Il New York Times scrive che c’è stato un supporto di intelligence, ma questo, appunto, avviene in fase di pianificazione: se inglesi e americani hanno fornito rilievi satellitari era perché sapevano a cosa stavano pensando gli ucraini. D’altra parte, ci sono dei video in cui appaiono uomini con l’uniforme ucraina che parlano in inglese. Credo sia stata un’operazione tesa a far guadagnare tempo all’Ucraina perché non ci fosse un tracollo prima del voto negli USA: se crolla l’Ucraina il 15 ottobre, il 5 novembre per i democratici sarà un massacro. Le priorità in questa guerra sono quelle degli angloamericani.
(Paolo Rossetti)
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