Da un po’ giorni, dopo i nomi di città ucraine che hanno occupato per mesi le prime pagine, ne è spuntato uno nuovo, quello di Severodonetsk. In realtà non dovrebbe essere così nuovo perché, come ci ha spiegato in questa intervista Mauro Indelicato, giornalista di InsideOver, “nel 2014, durante la rivolta della popolazione russofona del Donbass, questa città divenne il capoluogo dell’omonimo distretto di Luhans’k, una delle due repubbliche autoproclamatesi indipendenti da Kiev”.
Venne poi riconquistata senza scontri dalle forze armate ucraine e da qualche giorno è sotto massicci attacchi delle forze separatiste: conquistarla avrebbe un duplice importante significato: “La sconfitta di Kiev significherebbe una capitolazione, mentre per i russi vorrebbe dire completare l’occupazione della provincia e quindi raggiungere un primo obbiettivo strategico: ridare a quel territorio il completo controllo dei separatisti”.
È in corso una feroce battaglia per la conquista della città di Severodonetsk. Per molti analisti la sua caduta significherebbe una svolta decisiva nella guerra, è così?
Severodonetsk riveste un grande valore politico. Venne conquistata dai separatisti nel 2014 e fatta capoluogo della provincia di Luhans’k. Ripresa dagli ucraini, è diventata una loro roccaforte in una regione rivendicata dai separatisti. La sconfitta di Kiev significherebbe una capitolazione, mentre per i russi vorrebbe dire ridare ai separatisti il controllo completo del territorio a e quindi raggiungere un primo obiettivo strategico.
Nella Repubblica di Donec’k invece come è la situazione?
Lì è un po’ più complicata. I filorussi hanno provato ad attaccare a ovest della capitale. Va detto che a differenza di Luhans’k, che è un po’ più protetta, Donec’k è situata esattamente sulla linea del fronte fissato nel 2014 e i russi hanno difficoltà a penetrare. Stanno muovendosi su due fronti e stanno comunque ottenendo successi, conquistando centri urbani nelle vicinanze, cosa che ha permesso di farli attestare in prossimità di altre importanti città del Donbass.
Qual è il prezzo che stanno pagando in uomini e mezzi le due parti in questi combattimenti?
Zelensky nelle ultime ore ha parlato di almeno cento soldati ucraini uccisi al giorno. Non è un dato ufficiale, però ha fornito questo numero per rendere l’idea dell’entità dei combattimenti. La guerra ha subìto una forte accelerazione, la pressione russa si è fatta molto più intensa e questo provoca vittime sempre più numerose da entrambe le parti.
È vero che Putin vuole conquistare l’intero Donbass entro il primo luglio?
Circola un’indiscrezione secondo la quale il Cremlino sarebbe intenzionato a chiudere la partita del Donbass entro il 1° luglio. Però sulle date bisogna sempre andare cauti. Ricordiamoci come per un mese e mezzo si è parlato del fatidico 9 maggio come data cardine del conflitto, poi non è successo nulla. Probabilmente Putin ha voluto dare una linea di indirizzo, una data di riferimento, ma niente di più. Da quello che emerge dal campo i russi stanno avanzando e stanno accerchiando una buona parte dei soldati ucraini. È chiaro che l’obbiettivo russo si fa sempre più vicino.
In caso di conquista del Donbass, finalmente Putin accetterebbe di sedere a un tavolo con Zelensky?
Anche sulle trattative resta un enorme punto interrogativo. Putin avrà certamente in mano una carta negoziale importante, ma è da vedere se riusciranno a sedersi a un tavolo in modo stabile e non come hanno fatto fino a oggi. Un conto è quello che succede a livello militare, un altro a livello politico: non sempre le due cose combaciano.
C’è poi apertissimo il fronte della guerra del grano. Secondo la Turchia, il prossimo 8 giugno Lavrov si recherà ad Ankara per “discutere di corridoi sicuri” per il trasporto del grano dall’Ucraina. Ci si può fidare? E che corridoi saranno?
Ricordiamo che la Russia, se non esporta grano, subirà danni economici importanti. Mosca da molti anni vede nel grano un settore che viaggia in parallelo con quello energetico di gas e petrolio. Nel 2016 i piani del ministero dell’Agricoltura prevedevano che il settore agricolo fosse destinato a diventare l’altro grande motore delle esportazioni insieme a quello energetico. È chiaro che, se Mosca non torna a esportare grano, potrebbe andare incontro a seri problemi economici, perché mancherebbero quelle fonti di entrate che sono considerate seconde solo a quelle di gas e petrolio. Come ha garantito l’esportazione del gas per mantenere il ritorno economico, allo stesso modo prima o poi ci sarà la volontà di tornare a un livello, se non normale, quantomeno accettabile di export del grano russo.
Sì, ma il grano ucraino? Resterà bloccato?
Ovviamente l’interesse di Putin è tutelare l’economia russa. Al contrario, il grano ucraino è una questione che può essere spesa come ulteriore arma di condizionamento nelle trattative.
Si è molto parlato dell’annuncio russo di distruzione di armi italiane inviate in Ucraina, smentito dal nostro ministero della Difesa. Come commenta questo episodio?
Ovviamente non possiamo sapere cosa sia successo esattamente, se davvero erano armi italiane. L’unico dato oggettivo è che i russi hanno in qualche modo provato a mettere pressione sul governo italiano.
In che senso?
Affermando che si trattava di armi italiane, hanno provato a inserirsi nell’attuale scontro interno sull’invio di armi. In Russia seguono molto da vicino il dibattito italiano e avendo notato una non compattezza politica, sottolineando la distruzione di armi italiane hanno provato a infilarsi in questo dibattito per mettere pressione al nostro governo.
Negli Stati Uniti si discute molto dell’ambiguità di posizioni interne all’amministrazione Biden. Quali sono le ricadute di questa situazione sul terreno ucraino, in termini di forniture di armi e finanziamenti?
In questo momento Biden viaggia sul filo di un delicato compromesso. Sulle armi sembra che abbia intenzione di inviarne di pesanti ma non in grado di colpire il territorio russo. In questo modo accontenterebbe chi preme per l’invio di armi, ma anche chi preme per iniziare ad avere una linea più morbida. A livello generale pesa molto il calo di popolarità di Biden e l’incombenza, ormai fra pochi mesi, delle elezioni di medio termine. Nelle prossime settimane tutto questo potrebbe in qualche modo mettere in discussione l’attuale linea e a Mosca lo sanno. Ed è un altro motivo per cui si sta cercando di accelerare sulle operazioni militari. I russi cioè sanno che le ambiguità interne potrebbero riservare non poche sorprese.
(Paolo Vites)
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