Già nel 1892, il Foreign Office capisce che il Canale di Suez è un punto di passaggio strategico per incanalare i flussi di petrolio tra la Compagnia delle Indie e la Gran Bretagna. Il Canale fornisce un serio vantaggio competitivo in termini di navigazione nei confronti della Standard Oil in Asia. L’Egitto ottiene l’indipendenza nel 1922, ma la Gran Bretagna mantiene il controllo del Canale, nonché della difesa e degli affari esteri. Durante la Guerra fredda, il Canale diventa oggetto di forti tensioni, motivate dall’ascesa dei nazionalismi.
Sostenuto politicamente e militarmente dall’Urss, Nasser proclama la nazionalizzazione del Canale nel 1956, provocando il malcontento della Corona britannica che vede minacciati i suoi interessi in Egitto e Medio Oriente. Il Foreign Office decide di rispondere con un intervento militare immediato. Si svolgerà, quindi, un gioco di alleanze parziali e di avanzate mascherate tra i servizi di intelligence inglesi, francesi e israeliani. Il Foreign Office crede che l’unione con la Francia indebolirebbe i legami con gli Stati Uniti e, a causa della mancanza di sicurezza da parte francese, minaccerebbe l’intimità della cooperazione anglo-americana. Essa indebolirebbe il Commonwealth.
In base a un protocollo segreto, l’esercito israeliano attacca l’Egitto alla fine di ottobre e ottiene dei successi schiaccianti, aprendo la strada allo sbarco di francesi e inglesi a Porto Said. Ma questo avveniva senza tener conto della mancanza di sostegno da parte degli americani, che vedevano in questi eventi l’opportunità di assistere alla cacciata del loro concorrente britannico in un’area ricca di risorse petrolifere, il tutto senza inimicarsi gli egiziani. Francesi e inglesi si piegano sotto la pressione di Eisenhower, si ritirano dal Canale e l’Impero britannico perde il controllo del suo punto di passaggio strategico.
Il blocco di Berlino del 1948 ha lasciato tracce nella memoria: il timore che le truppe non riescano a fermare l’avanzata dell’Urss e il timore della perdita delle compagnie petrolifere di Iran, Iraq e Golfo Persico. Nel 1948, in collaborazione con il Foreign Office e il Sis, la Cia avvia un progetto di denial of service: “NSC 26 Removal and Demolition of Oil Facilities, Equipment and Supplies in the Middle East”. Questo progetto ha l’obiettivo di distruggere le scorte di carburante e smantellare gli impianti attraverso demolizioni selettive temporanee, di modo da poterli utilizzare nuovamente dopo la cacciata dell’Urss.
Per avere successo, le operazioni dell’Nsc 26 devono coinvolgere sia le compagnie petrolifere sia le forze armate. Il Foreign Office nasconde agli americani il fatto che le compagnie petrolifere britanniche hanno accettato di cooperare affidandosi esclusivamente all’esercito. I britannici temono non solo le conseguenze economiche, se gli americani avessero notato fughe di notizie dai governi locali, ma anche che le compagnie petrolifere americane cerchino di vendere il petrolio a prezzi inferiori in Medio Oriente. Tuttavia, questo piano deve essere modificato per diversi motivi. In primo luogo, a causa dei limiti individuati nei tempi di attuazione delle demolizioni selettive, alcune delle quali potrebbero rivelarsi irreversibili, e per l’emergere di impianti petroliferi iraniani che sfuggono al controllo degli inglesi. In secondo luogo, a causa dell’ascesa dei nazionalismi, in particolare in Iran, delle guerre regionali e delle invasioni sovietiche.
L’Nsc 26 viene poi modificata negli anni 50 da un piano più protezionistico: “NSC 5714 Protection and Conservation of Middle East Oil Resources and Facilities”. Si abbandona il ricorso alle compagnie petrolifere, si rafforza l’azione delle forze armate, si mantiene la distruzione delle scorte, si pianifica la distruzione di terreni e mezzi di approvvigionamento e si prevede il ricorso ad attacchi aerei con bombe convenzionali e nucleari. Fortunatamente questi piani non sono mai stati attuati, ma queste strategie segrete dimostrano quanto il petrolio sia prezioso e non debba cadere nelle mani dell’avversario o dell’alleato, non solo per sostenere i mercati economici, ma anche lo sforzo bellico.
Nel 2011, la Libia dell’autocratico colonnello Muhammar Gheddafi, in carica dal rovesciamento della monarchia nel 1969, subisce violente rivolte popolari promosse dal Consiglio nazionale di transizione (Cnt) per combattere la povertà, l’esclusione sociale e la corruzione del regime. Queste rivolte si trasformano rapidamente in guerra civile con un intervento britannico visibile (esercito regolare) e sotterraneo (Sis).
Gli scambi di e-mail diffusi su Wikileaks tra Hillary Clinton e Sidney Blumenthal, uno dei suoi stretti consiglieri, rivelano che gli alti funzionari del Cnt credono che il Foreign Office stia lavorando per rafforzare la posizione della British Petroleum. Essi fanno notare che fino a quel momento, la BP era stata costretta a trattare da vicino con Gheddafi, ma che il Regno Unito era stato una delle prime grandi potenze a sostenere la ribellione del Cnt. Queste e-mail rivelano anche la pressione esercitata dagli inglesi sul Cnt per ottenere una compensazione per il loro sostegno sotto forma di contratti favorevoli per le aziende del settore petrolifero che desiderano svolgere un ruolo primario in Libia. Il Cnt, rifiutando accordi globali, accetta accordi commerciali caso per caso, favorendo le aziende britanniche.
Dopo aver sostenuto Gheddafi, gli inglesi cambiano bandiera per sostenere l’opposizione, liberando una leva negoziale che permette loro di ottenere una certa esclusività nel mercato petrolifero libico. La vera posta in gioco della guerra non è stata dunque soltanto la transizione verso un nuovo ordine, ma lo Stato stesso, con i suoi meccanismi di gestione e redistribuzione della rendita petrolifera.
Secondo le rivelazioni di Edward Snowden al quotidiano The Guardian, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico mondiale è una delle questioni più importanti per le agenzie di intelligence. Il GCHQ è direttamente coinvolto nella questione petrolifera in maniera protezionistica e preventiva, ma anche aggressivamente nei confronti della concorrenza sul mercato petrolifero.
Nel 2010, il GCHQ ha utilizzato i social media come gateway per organizzare degli attacchi mirati contro 9 dipendenti dell’Opec. Questi attacchi hanno permesso al GCHQ di infiltrarsi nella rete informatica dell’Opec a Vienna e acquisire i diritti di amministratore di rete per accedere a due server contenenti informazioni riservate e strategiche.
Il rapporto annuale 2019 del National Cyber Security Center (Ncsc), braccio informatico del GCHQ, rivela che gli attacchi informatici nel settore energetico potrebbero interrompere la fornitura di idrocarburi e il funzionamento sempre più digitalizzato delle raffinerie. L’Ncsc interviene nelle società del settore petrolifero per esaminare, consigliare e modernizzare i sistemi informativi, aumentando notevolmente la loro resilienza attraverso la simulazione di attacchi informatici e la definizione di standard di sicurezza. Il cyberspazio è diventato un nuovo campo di battaglia per le operazioni dei servizi di intelligence, in cui la questione petrolifera rimane una posta in gioco strategica.
Per concludere, dopo una fase di ascesa seguita da una fase di declino, il Regno Unito si trova attualmente in una posizione di consumatore piuttosto che di produttore. Il Regno Unito possiede campi petroliferi propri solo attraverso lo sviluppo offshore e attraverso la Scozia, la cui volontà di emancipazione e il prosciugamento dei giacimenti rappresentano una minaccia alla ricerca dell’autosufficienza.
I servizi di intelligence, come abbiamo visto, hanno sempre svolto un ruolo preponderante nella politica estera britannica riguardante le risorse petrolifere strategiche.
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