Alla fine della Grande guerra, la battaglia tra i servizi segreti Uk e tedeschi per il controllo dei giacimenti petroliferi di Baku si fa intensa. Il ruolo di Reginald Teague Jones, ex agente del British Raj, ora affiliato all’MI5 e noto anche con il nome di Ronald Sinclair, è stato decisivo nel perseguimento del “Grande gioco” contro la sua controparte tedesca Wilhelm Wassmuss.
Le risorse petrolifere della Germania fanno allora affidamento solo sulla Romania. L’Inghilterra riesce ad affrontare le truppe tedesche con il blocco di Baku. Aggiunto alla fornitura di petrolio degli Alleati attraverso gli americani della Standard Oil, questo è il colpo di grazia per la Germania. Il petrolio, insomma, aveva dimostrato di essere al centro della geopolitica. Seguendo la teoria di Sir Mackinder, è intorno al Golfo Persico e al Golfo Arabico che si trova il perno della strategia dell’Impero britannico, che inizia a tracciare i contorni dei futuri accordi Sykes-Picot.
Alla fine della Grande guerra, la Gran Bretagna non ritira le sue truppe dal Golfo Persico, anzi. Questa zona diviene un “lago britannico” di fronte al diminuito Impero turco. L’espansione dell’Impero britannico in Mesopotamia per controllare la regione e difendere i suoi interessi strategici petroliferi è stata resa possibile in gran parte da Gertrude Bell. Aristocratica pioniera in molti campi, prima donna a laurearsi a Oxford con ottimi voti, prima donna ufficiale dell’intelligence britannica, Gertrude Bell è considerata dai suoi contemporanei la “Madre dell’Iraq”.
Con la firma degli accordi Sykes-Picot nel 1916, l’Impero ottomano viene quindi diviso in due zone: la Francia recupera la tutela di Siria e Iran, mentre l’Impero britannico ottiene la tutela di Palestina e Mesopotamia. Anche in questo caso, i servizi d’intelligence britannici hanno abilmente manovrato per recuperare i campi petroliferi della Persia, che erano stati inizialmente promessi agli arabi e poi ai francesi.
L’ascesa dei nazionalismi e l’indipendenza delle colonie segnano la progressiva fine dell’imperialismo britannico. Alla fine della Seconda guerra mondiale, la sterlina viene superata dal dollaro, che diventa il nuovo sistema di riferimento monetario internazionale, formalizzato dagli Accordi di Bretton Woods. L’ascesa degli Usa e dell’Urss attorno a due blocchi bipolari costringe gli occidentali a stringere alleanze, mentre affrontano le rivalità per la salvaguardia degli interessi nazionali.
Come Lawrence d’Arabia prima di lui, Harry Saint-John Philby, detto “Jack”, viene inviato in Arabia Saudita da Gertrude Bell, allora rappresentante dell’Ufficio arabo con sede al Cairo. Figlio di un coltivatore di tè, Philby non proveniva dall’aristocrazia britannica. Ex agente segreto durante la Prima guerra mondiale e laureato a Cambridge, “ha sviluppato un feroce odio per questi ‘maledetti ‘snob’ dell’establishment britannico”.
Philby è un arabista amante del deserto, affascinato dal mondo arabo (si è addirittura convertito all’Islam nel 1930), ma è fortemente in disaccordo con la politica estera britannica in Medio Oriente. Nel 1924, Philby lasciò il servizio di Sua Maestà d’Inghilterra per diventare consigliere personale di Ibn Saud, il re dell’Arabia Saudita. La doppiezza della Gran Bretagna nei confronti degli arabi, mista al sentimento di odio che nutre per la sua patria, lo spinge a commettere un formidabile tradimento nei confronti dell’Impero, le cui conseguenze influenzano ancora le relazioni internazionali in Medio Oriente.
Nel 1933, il traditore Saint-John ha infatti inferto un terribile colpo a questa odiata aristocrazia consigliando con successo a Ibn Saud di preferire, per lo sfruttamento delle sue risorse petrolifere, la Standard Oil of California alla Anglo-Persian Oil Company, quindi gli Stati Uniti, alla Gran Bretagna. Jack Philby fu ricompensato dalla SoCal con uno stipendio annuo di 1.000 sterline. Da questa deception (in senso anglosassone) nascerà successivamente il “rapporto speciale” americano-saudita, attivo ancora oggi.
Alla fine degli anni ’40, la morsa esercitata dalle società petrolifere britanniche della Anglo-Persian Oil Company (divenuta Anglo-Iranian Oil Company) sull’Iran alimenta gli impulsi nazionalisti già accresciuti dagli accordi presi in Arabia Saudita con gli americani per la condivisione delle rendite petrolifere. L’Impero britannico era allora il terzo produttore mondiale e il primo produttore in Medio Oriente. Mohammad Mossadegh, originariamente un semplice deputato democratico ma fervente nazionalista, vuole apportare dei grandi cambiamenti politico-economici nel suo Paese, ridurre l’influenza straniera e deporre lo Scià. Nel 1951 riesce a essere nominato primo ministro con l’aiuto del Majlis, il Parlamento iraniano, e dichiara la nazionalizzazione della Anglo-Iranian Oil Company, provocando una reazione immediata da parte di Londra con un blocco internazionale sugli idrocarburi.
Dal momento che l’Anglo-Iranian Oil Company garantiva l’indipendenza energetica della Royal Navy, Winston Churchill seguì il caso “molto da vicino”. Nel 1952, il capo del Sis a Teheran, Christophe Woodhouse, incontra a Washington Bedel Smith, lo ‘Scarabeo’, e Frank Wisner. Se i due americani ascoltano con attenzione le offerte del collega britannico – un lavoro congiunto contro Teheran – è perché scommettono sul futuro. Il Sis preparerà il “colpo di stato di Teheran”, denominato operazione Boot, che sarà messa in atto dalla Cia e meglio conosciuta con il nome di operazione Ajax.
Alla fine, sappiamo solo che Mossadegh getterà la spugna, che il “golpe di Teheran” funzionerà bene quanto il colpo di Stato a Praga, che lo Scià conserverà il suo trono fino alla rivoluzione islamica del 1978-1979 e che, per il momento, l’Anglo-Iranian può recuperare i suoi pozzi.
(2 – continua)
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