Durante il conflitto tra Iran e Iraq negli anni 80, la Siria di Hafez al-Assad, padre dell’attuale presidente Bashar al-Assad, si trovava in una posizione di notevole rilevanza strategica, con implicazioni significative per gli interessi USA nella regione. Un documento segreto della CIA datato 14 settembre 1983 descriveva la Siria come una minaccia per gli Stati Uniti, poiché il suo sostegno a vari gruppi terroristici e la sua occupazione in Libano contravvenivano agli interessi americani e di alleati come Israele.



La chiusura dell’oleodotto iracheno-siriano, inoltre, aveva danneggiato l’economia dell’Iraq, rischiando di estendere ulteriormente il conflitto con l’Iran. La CIA considerò varie strategie per esercitare pressione su Assad, inclusa la possibilità di una minaccia militare coordinata da Iraq, Israele e Turchia, Paesi che confinavano con la Siria. La Turchia, in particolare, aveva motivi di malcontento verso la Siria a causa del supporto fornito ai militanti curdi e armeni, una situazione che ad Ankara non passava inosservata e che considerava come un atto ostile.



In un altro documento, datato 30 luglio 1986 e proveniente dal Foreign Subversion and Instability Center della CIA, intitolato Syria: Scenarios of Dramatic Political Change, venivano analizzate diverse ipotesi per rimuovere Assad dal potere. La CIA previde che una risposta sproporzionata del governo siriano a proteste minori avrebbe potuto innescare disordini di ampia scala, potenzialmente sfociando in una guerra civile. Questa prospettiva prendeva in considerazione il fragile equilibrio settario in Siria, dove un governo sunnita al potere avrebbe potuto ridurre l’influenza sovietica nella regione, dato il sostegno dell’URSS al governo alauita di Assad.



Il documento del 1986 avvertiva anche dei rischi di un governo debole a Damasco che potesse diventare un fulcro per il terrorismo. Gli interessi statunitensi erano chiari: un governo sunnita pro-occidentale avrebbe potuto diminuire la tensione con Israele e sarebbe stato più aperto agli aiuti e agli investimenti dall’Occidente. Tuttavia, c’era anche la preoccupazione che un potere sunnita potesse cadere sotto il controllo di fondamentalisti, i quali avrebbero potuto istituire una repubblica islamica ostile a Israele e sostegno al terrorismo, una preoccupazione che rimane rilevante ancora oggi.

I tentativi di destabilizzazione americana in Siria sono stati ampiamente illustrati da WikiLeaks, che ha mostrato come già nel 2006, attraverso comunicazioni segrete dell’ambasciata americana a Damasco, fossero state identificate e considerate le vulnerabilità del governo siriano. Tali punti deboli includevano le preoccupazioni dei sunniti riguardo all’ingerenza iraniana, la situazione dei curdi, e la presenza di estremisti che consideravano la Siria un rifugio sicuro. Il documento “06DAMASCUS5399_a” del 13 dicembre 2006 evidenziava che, nonostante la stabilità economica del Paese e una opposizione interna non molto solida, esistevano opportunità di sfruttare la situazione interna della Siria. In particolare, si sottolineava il pericolo dell’espansione dell’influenza iraniana, sia attraverso l’attrazione degli sciiti, sia tramite la conversione dei sunniti economicamente più deboli, compiuta per mezzo di attività come la costruzione di moschee e affari commerciali.

In seguito, una mail trapelata dall’archivio di Hillary Clinton datata 31 dicembre 2012, in piena guerra civile siriana, delineava chiaramente l’obiettivo degli Stati Uniti di rimuovere Bashar al-Assad per aumentare la sicurezza di Israele di fronte alla minaccia nucleare iraniana. Si riteneva che abbattere Assad avrebbe potuto ridurre l’influenza iraniana e, di conseguenza, le tensioni tra Israele e Iran. La strategia non prevedeva un intervento militare diretto, bensì un supporto ai ribelli siriani attraverso alleati regionali come Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Gli Stati Uniti, insieme ai loro alleati, avrebbero organizzato, addestrato e armato le opposizioni siriane, con l’intento di formare una coalizione internazionale per eventuali operazioni aeree, bypassando l’ostacolo del veto russo nelle Nazioni Unite. Questi documenti rivelano un’approfondita considerazione di diverse modalità attraverso cui gli Stati Uniti hanno cercato di influenzare il cambiamento politico in Siria, mostrando la complessità delle politiche estere e di intelligence occidentali in relazione a un Paese cruciale per l’equilibrio del Medio Oriente.

ZunZuneo

Naturalmente anche a Cuba è stata oggetto di innumerevoli processi di destabilizzazione. Vediamo di illustrarne uno in modo particolare. Gli Stati Uniti hanno tentato di scuotere le fondamenta del governo cubano attraverso un’iniziativa piuttosto insolita e ingegnosa: la creazione di un social network. Questa operazione è stata messa in atto dalla United States Agency for International Development (USAID) nel 2009 con la nascita di ZunZuneo, una piattaforma digitale mirata alla gioventù cubana. Il progetto prevedeva l’acquisizione clandestina di informazioni personali di mezzo milione di cittadini cubani ritenuti adatti a questo tipo di azione sovversiva. In un tentativo di mascherare le intenzioni politiche, ZunZuneo fungeva inizialmente come un servizio di messaggistica con contenuti superficiali e intrattenimento, come aggiornamenti sportivi e previsioni meteorologiche. Dietro questa facciata leggera, l’obiettivo era creare un canale per veicolare contenuti potenzialmente dissidenti e fomentare proteste.

Il finanziamento dell’operazione veniva occultato attraverso conti esteri e la costituzione di due società fittizie, una in Spagna e l’altra nelle Isole Cayman. Inoltre, venivano dirottati fondi inizialmente previsti per progetti umanitari in Pakistan, eludendo così le leggi statunitensi che richiedono la notifica al Congresso per operazioni sotto copertura. L’aspetto commerciale di ZunZuneo veniva enfatizzato tramite campagne promozionali e pubblicità fasulle per conferirgli credibilità e attirare l’attenzione dei giovani cubani, che si iscrivevano numerosi, attratti dalla novità del servizio digitale.

L’adesione massiccia al social network non tardò a suscitare interrogativi e preoccupazioni presso il governo cubano, che cercò di indagare e monitorare i contenuti condivisi sulla piattaforma. Dietro le quinte, i dati degli utenti venivano raccolti e analizzati dagli organizzatori del social network, che classificavano gli iscritti in diverse categorie in base a età, genere e atteggiamento nei confronti del regime, senza che gli stessi ne fossero consapevoli o avessero dato il proprio consenso. Nonostante l’apparente successo iniziale, con 40mila iscritti raggiunti, la crescente sfiducia del governo cubano nei confronti di ZunZuneo portò alla sua chiusura nel settembre 2012, ponendo fine a quello che era stato uno dei tentativi più audaci e controversi degli Stati Uniti di influenzare il clima politico all’interno di Cuba.

La strategia

Quale valutazione complessiva possiamo dare dell’operato degli Stati Uniti in relazione ai processi di destabilizzazione?

Secondo l’analisi dello storico brasiliano Luiz Alberto Moniz Bandeira, la politica estera degli Stati Uniti si focalizza sul mantenimento e sull’espansione della propria sfera d’influenza globale, utilizzando vari metodi per assicurare che nessun Paese rappresenti una minaccia ai suoi interessi. Questo processo viene implementato indipendentemente dal contesto politico o geografico del Paese in questione. La strategia statunitense di “correzione” è particolarmente incisiva nei confronti di governi percepiti come ribelli o che si discostano dalla linea imposta dalla Casa Bianca. Bandeira sostiene che l’imperativo americano di sovrapporre i propri postulati agli interessi stranieri si intensifica quando il dominio degli Stati Uniti appare in declino piuttosto che in ascesa, poiché in queste circostanze si avverte più acutamente la necessità di riaffermare il proprio potere.

Per ridurre al silenzio o eliminare gli ostacoli politici, gli USA ricorrono a servizi segreti, guerre psicologiche, organizzazioni non governative e fondazioni private. Questi strumenti servono a destabilizzare governi oppositori, sfruttando le tensioni interne e cercando di orientare i disordini come se fossero spontanei e non guidati da influenze esterne, al fine di evitare la resistenza che di solito segue la percezione di interferenza esterna come è stato illustrato in modo eloquente da innumerevoli studi, non solo la riflessione di Eric Denécé ma anche di Christian Harbulot e della sua scuola. Il cambiamento di un governo, idealmente attraverso un processo che sembri radicarsi nella volontà popolare e nei principi democratici piuttosto che attraverso un colpo di Stato, rappresenta l’obiettivo finale. In quest’ottica, un governo che crolla sotto la pressione di un apparente movimento popolare viene visto come un successo della politica statunitense.

Per influenzare l’opinione pubblica e promuovere l’azione civile contro i governi target, gli Stati Uniti utilizzano massicciamente i media, Internet e i social network. Attraverso questi canali, possono manipolare le percezioni e orientare il dissenso, talvolta incanalando il desiderio di vendetta o semplicemente la voglia di migliorare le condizioni di vita, per stimolare le proteste contro il governo da rovesciare. La “sfida politica”, termine ufficialmente adottato dagli USA, implica l’orchestrazione di campagne per indebolire e infine disgregare le basi di potere dei Paesi avversari. Questa strategia, ispirata alle teorie del politologo Gene Sharp e di un colonnello della Joint Military Attaché School, prevede la pianificazione meticolosa e la mobilitazione popolare per minare dall’interno i governi non allineati agli interessi americani. Secondo Moniz, quindi, in diversi angoli del mondo questi meccanismi potrebbero essere attualmente in atto come parte di tale “sfida politica”.

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