Sono nate con il sostegno del Partito Comunista Cinese, grazie all’iniziativa di qualche ricercatore, sfruttando il know-how acquisito nelle telecomunicazioni e sviluppandosi grazie ai sussidi elargiti dallo Stato. Tanto che in Cina il settore comprende 140 marchi, quasi il triplo rispetto all’Europa. Ora, però, le grandi case automobilistiche cinesi stanno per sbarcare in Italia per produrre vetture elettriche, settore in cui hanno un vantaggio assodato nei confronti dei marchi europei.



Mentre inizialmente erano loro a imparare dalle aziende occidentali come realizzare macchine a motore endotermico, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, ora saremo noi italiani a imparare da loro tutti i segreti dell’elettrico. Un modo per ridare peso a un settore che in Italia è ridotto alla sola componentistica. Di produttori, tranne Ferrari, non ce ne sono più. Anche Stellantis ormai non può essere considerata italiana. I cinesi, invece, stanno guadagnando terreno nei mercati mondiali. Nel 2023, tra Europa e Asia, la loro quota di mercato è cresciuta dal 12,4% al 33,3%. E nomi come Saic, Chery, Geely, Dongfeng, Byd (le ultime due in predicato di sbarcare in Italia con le loro fabbriche) non sono più sconosciuti neanche da noi.



I colossi cinesi dell’auto stanno per sbarcare in Italia: come è cresciuto negli anni il settore automotive del Dragone?

Ci sono quattro tipologie di player nell’enorme sistema automobilistico cinese. La prima riguarda aziende come Dongfeng o Saic, nate dal Partito Comunista Cinese con l’apertura al mercato di Deng Xiaoping. Sono aziende di stato. Nei primi anni hanno costruito pessime macchine cinesi, poi hanno fatto accordi con player occidentali per acquisire know-how: Dongfeng con Renault e Stellantis, Saic con General Motors e Volkswagen. Da lì sono cresciute molto, guadagnando una posizione dominante nel mercato cinese. Quindi sono andate verso l’elettrico e, grazie alle politiche industriali cinesi, hanno conseguito risultati importanti. Questo è il primo cluster, quello più classico.



Le altre aziende, invece, che storia hanno avuto?

Nel secondo segmento ci sono aziende come Byd, che nasce da un ricercatore come produttore di batterie. Ci ha investito anche Warren Buffet. Ora è diventato il player più importante dell’automotive. Recentemente è uscita sul mercato con auto più avanzate della Taycan, ma che costano un sesto o un settimo del modello di Porsche.

Nel settore automotive cinese l’hi-tech è un elemento fondamentale. Come ha influito sullo sviluppo del settore?

C’è, infatti, un terzo segmento di produttori di auto che viene dal settore delle telecomunicazioni: così è successo, ad esempio, per Huawei e Xiaomi. Il vero vantaggio di tutti i player cinesi è che hanno costruito tutte le automobili pensandole come oggetti informatici.

Ci sono anche altri produttori?

Il quarto cluster è costituito dalle centinaia di piccoli produttori che, sfruttando i sussidi delle province, hanno costruito fabbriche di automobili elettriche, molte delle quali andranno a chiudere perché non riescono a sostenersi. Il mercato cinese ora è in overcapacity, c’è una concorrenza folle sui prezzi e, per forza di cose, ci sarà una scrematura. Il redde rationem è già in corso. Negli ultimi 15 anni hanno finanziato tutto con i sussidi, ma adesso molti non riescono a stare sul mercato.

Quali tra i marchi cinesi operano già in Europa e quali sono indiziati per venire in Italia?

Il nostro governo sta trattando con le case più note. Io mi aspetto che Dongfeng venga: ha già rapporti con Stellantis. Byd credo che sia corteggiata anche da altri. Comunque, vedo positivamente il fatto che l’automotive cinese venga in Italia. Noi siamo in un mercato di subfornitura dalla Baviera, che è in difficoltà. Abbiamo bisogno di subforniture che interagiscano con l’automotive elettrico. E i cinesi hanno 10-15 anni di vantaggio sugli occidentali.

E tutto il nostro indotto dell’automotive che fine farà?

Una parte morirà perché l’auto elettrica è estremamente semplice: si sa da vent’anni. È semplice dal punto di vista meccanico, non da quello informatico. Si passa da qualche decina di migliaia di componenti a qualche centinaio di componenti di un’auto elettrica. Però noi abbiamo bisogno, comunque, di operare in subfornitura anche se, purtroppo, non siamo più un Paese produttore, tranne che per auto di altissima gamma. C’è rimasta solo la Ferrari, tutte le altre aziende non sono più italiane: Lamborghini è in mani tedesche, Bugatti e Maserati in mani francesi. Non è rimasto più nulla, se non la componentistica.

Se i cinesi venissero da noi a produrre, avremmo almeno un beneficio occupazionale?

Il beneficio sarebbe di operare con aziende competitive. Invertiamo il paradigma, adesso impariamo noi dai cinesi.

Come sono i rapporti di queste imprese con i grandi brand dell’auto occidentali: ci sono sinergie, partecipazioni?

Geely, ad esempio, ha comprato Volvo, detiene quote di Mercedes e di Daimler. Gli occidentali sono in joint venture in alcune di queste aziende. Poi si tratta di vedere come sono strutturate: immagino riguardino la parte endotermica. I cinesi hanno già comprato aziende occidentali.

Il mercato dell’elettrico in Europa sta conoscendo più di una difficoltà, potrebbero risentirne anche i cinesi?

Ne risentono di sicuro, ma hanno un vantaggio di costo abbastanza rilevante e anche di prestazione. Con gli attuali dati riescono a essere profittevoli ugualmente. Poi assembleranno in Europa e quindi eviteranno i dazi, anche se credo che su questo punto si troverà una soluzione. Si tratta di un’operazione complessa, soprattutto per i tedeschi, che senza il mercato cinese vanno a morire.

I cinesi potrebbero produrre anche altri tipi di auto in Italia, le ibride per esempio?

Il vantaggio ce l’hanno tutto sull’elettrico, perché hanno investito lì. Sull’ibrido mi aspetto che non ci sia competizione con i giapponesi. Il vero tema è che l’Europa aveva un vantaggio comparato nell’endotermico che ha perso completamente, perché è una tecnologia sulla quale la stessa Europa ha deciso di disinvestire per questioni ambientali.

Non ci saranno ripensamenti sul piano UE di produrre solo auto elettriche dal 2035?

Sicuramente sì, rimoduleranno i termini, saranno costretti. I cinesi comunque hanno imboccato la loro strada, non possono cambiarla, ci sarà una guerra spietata fra di loro e chi rimarrà sarà molto competitivo. Ormai sono un player ineludibile con l’elettrico.

Si dice che Dongfeng possa prendere degli spazi ora occupati da Stellantis per realizzare i suoi siti produttivi in Italia. È possibile?

Probabile, può darsi che glielo chieda il governo. I cinesi sono abituati a tempi rapidissimi e soffriranno in Italia. Sarà una dura negoziazione: si aspettano che il giorno dopo la firma con l’esecutivo si possa iniziare a produrre; non succede esattamente così.

Scenderanno in forze in Italia?

Mi aspetto che in Italia vogliano venire perché è una porta di accesso interessante per l’Europa e, non avendo più produttori, siamo più aperti di altri. Non abbiamo più un produttore, tranne Ferrari; Stellantis se n’è praticamente andata.

L’Italia, quindi, potrebbe diventare l’hub delle auto cinesi per l’Europa?

Mi aspetto di sì. Un bel messaggio dal loro punto di vista, credo che il governo italiano stia considerando questo.

Secondo qualcuno il tema dell’arrivo dei cinesi dovrebbe essere valutato in sede europea e non lasciato alle singole iniziative dei Paesi. Corriamo qualche rischio da questo punto di vista?

Nessuno, i tedeschi sono dalla nostra parte: non possono fare arrabbiare i cinesi sull’automotive. Sono i primi a essere contenti di operazioni di questo genere.

(Paolo Rossetti)

 

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