Quest’anno, tre importanti inaugurazioni di stagione lirica, si accavallano quasi l’una sull’altra e costringeranno critici musicali e melomani e viaggiare per l’Italia dal Nord al Sud. La più pubblicizzata è quella della Scala, il giorno di Sant’Ambrogio, ossia il 7 dicembre. A seguire quella del Teatro dell’Opera di Roma il 10 dicembre e quella del Teatro di San Carlo di Napoli, Alla Scala debutta anche un muovo sovraintendente. Domique Meyer in arrivo da Vienna, mentre Stéphane Lissner assumerà la guida del San Carlo il primo aprile. Questa stagione, e soprattutto, le inaugurazioni sono state preparate dai loro predecessori



La Scala propone un’opera notissima e molto rappresentata: un nuovo allestimento di Tosca di Giacomo Puccini, nel quadro del programma del direttore musicale, Riccardo Chailly di valorizzare il repertorio italiano della prima metà del Novecento. Il Teatro dell’Opera di Roma ed il Teatro di San Carlo iniziano le loro stagioni con titoli poco rappresentati, nonostante siano di grande valore: rispettivamente Les Vêpres Siciliennes di Giuseppe Verdi e Pivskoia Dama (La Dama di Picche) di Peter Illic Ciakovskji.



Sono tre grandi nuovi allestimenti con interpreti, regie, direzioni musicali, scene e costumi di livello internazionale. Se ne parla da alcuni giorni sulla stampa quotidiana. A noi, preme presentare essenzialmente gli aspetti di novità musicale.

Tosca viene proposta nella versione del debutto a Roma il 14 gennaio 1900. E’ noto che Puccini amava rivedere e ritoccare le proprie partiture, aggiungendo, tagliando, spostando brevi momenti musicali. La versione di Tosca che normalmente viene eseguita è una edizione “consolidata” dopo vari ritocchi. Chailly sottolinea che ci sono otto differenze rispetto a quella ascoltata il 14 gennaio 1900. Unicamente all’ascolto si potrà dire se il “consolidamento” ha migliorato o peggiorato l’opera. O non ha affatto alcuna differenza. Pochi anni fa, alla Scala ascoltai una Fanciulla del West in cui si aprivano tagli “di tradizione”. Non solo l’operazione non andò completamente in porto perché il soprano che aveva fatto le prove cancellò, ma le modifiche sembrarono impercettibili anche ad orecchie ben addestrate.



Les Vêpres Siciliennes  è una vera rarità. Di solito si rappresenta, pure al Festival Verdi di Parma, non l’edizione originale del debutto a Parigi ma quella fortemente rimaneggiata e molto tagliata per i teatri italiani. Ricordo due produzioni della versione originale alla fine degli Anni Novanta, rispettivamente a Roma ed a Napoli. Comporta un grande sforzo produttivo ed impegna tutte le risorse del teatro, anche il corpo di ballo. E’ difficile trovarne CDs mentre è in commercio un buon DVD, diretto da Antonio Pappano per la Royal Opera House di Londra. Si suggerisce di vederlo prima di affrontare le circa cinque ore di durata dello spettacolo.

La Dama di Picche è altra opera che richiede un grande sforzo produttivo. Ne ricordo belle produzioni a Torino ed a Ferrara, oltre che a Salisburgo ed a San Pietroburgo ed una eccellente in forma di concerto in una tournée del Mariinskj a Rpma. Il San Carlo importò una produzione da Londra oltre tre lustri fa, ma non fu pari alle attese. Questa con Juray Valcuha sul podio, la regia di Willy Decker e le migliori voci russe su piazza promette di essere strepitosa.