Il futuro è già arrivato. Con la nota del Comitato consultivo europeo per le finanze pubbliche , uno dei tanti organismi comunitari -, la campanella di fine ricreazione è suonata prim’ancora di riuscire a tirare quattro calci in cortile: la sospensione del Patto di stabilità non sarà per sempre. Per meglio dire, occorre pensare già da subito a come e quando ristabilire le vecchie regole.



Doccia fredda per i nostri governanti (per tutti noi, in verità) che dell’allentamento del vincolo di austerità non si sono ancora serviti dal momento che nutrono perplessità sui fondi Mes, i più pronti a essere erogati, e puntano tutto sul mega pacchetto di trasferimenti e prestiti che passa sotto il nome di Recovery fund per attivare il quale occorre presentare un serio piano di riforme.



Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis chiarisce che non oltre la prossima primavera, meglio se già questo autunno, sarà bene fare un punto della situazione. Per allentare la pressione il commissario italiano Paolo Gentiloni si è affrettato a chiedere un atteggiamento politicamente molto saggio prima di tornare all’ordinaria politica di bilancio.

Il segnale è chiaro: regalati o prestati che siano, i soldi che arrivano dall’Europa non possono essere sprecati. Non possono, cioè, essere utilizzati per finanziare promesse elettorali (a settembre si vota in sette Regioni), pratiche assistenziali, spese non produttive. Dunque, fuori i progetti che possono e devono restituire all’Italia la perduta capacità di crescita e lavoro.



Parlando alla Camera, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha cercato di gettare acqua sul fuoco spiegando che è da escludere un ritorno automatico al rigore e che il nuovo ordine è ancora tutto da costruire. Resta il fatto che anche i partner più vicini, quelli che continuano a considerarci con simpatia, ci invitano a non tirare troppo la corda perché potrebbe spezzarsi.

Con il primo luglio è cominciato il semestre dell’Unione a guida tedesca. Probabilmente l’ultimo atto politico di rilievo della cancelliera Angela Merkel che si prepara a lasciare il governo del suo Paese dopo 16 anni fruttuosi. Per quegli scherzi che la storia spesso ci riserva, proprio la Germania è l’alleato nella confederazione più disponibile a darci una mano nel superare i nostri problemi.

Anche per questo non possiamo deludere. Non possiamo approfittare della benevolenza del più potente degli Stati dell’Unione per continuare a prendere tempo e rinviare ogni decisione. La pretesa di accedere a risorse comuni senza voler dar conto del loro utilizzo alimenta la diffidenza verso di noi. Senza contare l’impennata dello spread che una caduta di reputazione potrebbe provocare.

Sfuggiamo, a tutti i livelli, alla pratica del rendiconto. Vogliamo giudicare, e spesso lo facciamo con leggerezza, ma non ci piace esserlo per le cose che facciamo, per come le facciamo, per i risultati che conseguiamo. Ci riteniamo tutti bravi per definizione – in particolare nel settore pubblico dove non c’è concorrenza e tantomeno competizione – e guai a chi lo mette in dubbio.

Così, mentre ci ubriachiamo di parole che nemmeno le tante commissioni di esperti riescono a trasformare in fatti, da Bruxelles ci avvertono che il tempo passa anche se fingiamo di non accorgercene. Ora il Paese è avvisato. La cosiddetta Fase 3, quella del rilancio dell’economia, rischia di fermarsi prima di partire.

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