Ieri Standard & Poor’s ha confermato il rating sul debito pubblico italiano a BBB/A-2; la decisione era attesa perché un eventuale downgrade avrebbe complicato la situazione finanziaria italiana sia agli occhi dei mercati che dei partner europei. Il primo elemento che occorre sottolineare nell’analisi dell’agenzia di rating e che compare fin dalle primissime righe è la “quantificazione” delle misure di stimolo messe in atto dal Governo italiano: l’1,5% del Pil e il 25% del Pil come garanzie ai crediti. Sappiamo che il secondo elemento si sta rivelando di scarso effetto, poche migliaia di imprese e imprenditori comprensibilmente restii a indebitarsi con le banche in questa fase, oltre alla lunghissima burocrazia. Significa che gli stimoli del Governo “veri” sono circa 30 miliardi di euro; una cifra lontana anni luce da quelle dei partner europei o degli annunci.



S&P stima un calo del Pil del 10% per l’anno in corso, una valutazione più pessimista e realistica di quella del Governo italiano, e stima un debito sul Pil a fine 2020 del 153% con un calo al 140% solo alla fine del 2023. Sono numeri da brividi, nonostante la stima ottimistica sull’evoluzione economica, che metteranno il Governo italiano e la sua economia al centro delle preoccupazioni degli investitori internazionali per lungo tempo.



L’agenzia di rating assume, tra l’altro, che la maggior parte del debito pubblico creato dall’Italia nel 2020 verrà comprato dalla Bce. A far da contraltare il fatto che il debito privato in Italia sia più basso tra le economie del G7 e in Europa occidentale. S&P in questo caso ci mette davanti alla Germania, dato che il nostro debito privato è pari al 110% del Pil contro il 114% della Germania, il 150% della Spagna e il 250% dell’Olanda. In questi numeri si potrebbe intravedere un assist all’Italia soprattutto nel dibattito interno all’Europa. Infatti, S&P continua sottolineando come l’Italia abbia uno dei surplus primari più alti del mondo.



S&P proseguendo nell’analisi inserisce un’osservazione sull’eurozona: “Sebbene crediamo che livelli di debito più alto potrebbero essere sostenibili per economie come quella italiana, dove il debito privato continua a scendere, gli attuali schemi dentro l’euro non sono ottimali”. In particolare, “l’eurozona sembra ostacolata, rispetto a Stati Uniti e Regno Unito, dalla mancanza di una politica fiscale centrale in grado di gestire gli shock economici”. S&P cita l’assenza di condivisione di rischio e di mutualizzazione del debito.

È innegabile che all’interno dell’Europa la risposta alla crisi del 2008 sia stata asimmetrica e che poi nel 2012 si sia generata una crisi dei debiti sovrani che è in se stessa la prova delle disfunzioni dell’area euro. Questo a prescindere da qualsiasi cosa si pensi dell’Europa e dell’incapacità cronica dell’Italia di tagliare la spesa pubblica inefficiente, di cambiare una legislazione chiaramente anti-impresa e di contrastare la rendita.

Il resto dell’analisi è altrettanto significativo; si stima che l’Italia non tornerà ai livelli del 2019 prima del 2023, un incremento della disoccupazione fino all’11,3%. L’agenzia ci avvisa che queste stime sono “altamente incerte” perché si basano su un rilancio dell’economia a partire da maggio senza intoppi. Un’assunzione che si potrebbe scontrare sia con le seconde ondate di pandemia, sia con una uscita dalle misure di lockdown molto lenta.

L’ultima chiosa è particolarmente interessante. S&P crede che l’appartenenza all’eurozona sia una forza per l’Italia anche se determina una perdita di flessibilità monetaria quando la competitività diverge da quella degli altri membri dell’eurozona. Il dilemma italiano si pone da due decenni. Una valuta forte imporrebbe una revisione profonda dello Stato italiano, delle sue finanze e una responsabilizzazione maggiore a tutti i livelli anche e soprattutto locali.

Per concludere, di fronte alle previsioni economiche e di finanza pubblica di S&P, che comunque assumono una ripresa “senza intoppi”, si pone in modo evidentissimo la questione di un Paese con un’economia sotto fortissimo stress e con rapporti di indebitamento molto alti. È impossibile non chiedersi quanto i mercati testeranno l’Italia e quale sarà la risposta e la credibilità di un Paese che per quattro anni rimarrà sotto i livelli del 2019 con debiti molto più alti. Un’impresa difficilissima anche per il migliore dei governi.

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