L’agenzia di rating S&P ha confermato il giudizio sull’Italia a tripla B senza alcuna variazione. Il Governo italiano passa quindi indenne il primo banco di prova in un contesto di tassi crescenti, rallentamento della crescita e, negli ultimissimi giorni, peggioramento del contesto geopolitico. È l’outlook di S&P a sintetizzare le attese sull’economia italiana dell’agenzia: “L’outlook stabile bilancia la nostra visione di un consolidamento fiscale più lento di quello che ci aspettavamo precedentemente, incluse le crescenti spese per interessi su un debito pubblico elevato, e il significativo stimolo economico che i fondi europei dovrebbero produrre”.
Il resto della lunga analisi è lo sviluppo di questa visione. L’indebolimento della crescita del Pil è il risultato di peggiori condizioni finanziarie, di un’alta inflazione, dell’aumento dei risparmi e di un calo della domanda esterna. L'”unico”, o quasi, elemento a controbilanciare queste dinamiche è l’utilizzo dei fondi europei del Pnrr. Per la ripresa della crescita del Pil oltre l’1% dal 2025 “il completo dispiegamento dei fondi è decisivo”. Il mantenimento delle promesse che il Governo italiano ha preso nella finanziaria 2024, che è in potenza prudente dal punto di vista fiscale, è importante ma non cambia il quadro di fondo che emerge dall’analisi di S&P. La sottolineatura dell’agenzia di rating sulla vulnerabilità energetica dell’Italia che importa l’80% dell’energia consumata conferma lo scenario.
L’andamento economico italiano è “appeso” ai fondi europei e non potrebbe essere altrimenti. L’Italia non può stimolare la crescita fiscalmente perché i debiti pubblici, tanto più dei Paesi percepiti come più fragili, sono sotto la lente di ingrandimento in questo contesto storico. La domanda estera, che per tre decenni è stata la salvezza in ogni crisi, è inaffidabile in un mondo che sta archiviando la globalizzazione alla velocità della luce. La crisi energetica, che ammazza la competitività delle imprese e i consumi delle famiglie, non è risolvibile nel breve periodo a meno di cambiare completamente paradigma. La spesa per i consumi non può salvare la “crescita”. Rimane, quindi, l’unica “spesa pubblica” con il passaporto giusto e su cui, per ora, i mercati non hanno nulla da ridire: i fondi europei.
Questo è da un lato una speranza, dall’altro terribile per due ragioni. La prima è che qualsiasi difficoltà nella trasmissione dei fondi europei, per qualsiasi ragione, farebbe venir meno l’unica fonte di crescita dell’Italia. La seconda è che se i fondi europei falliscono nel cambiare per il meglio la struttura profonda del sistema economico italiano, in un mondo stravolto, non rimangono opzioni alternative.
La genesi dei fondi europei risale al mondo post-Covid fatto di deflazione, materie prime e fonti energetiche a prezzi da saldo, commerci globali fluidi e concordia, o quasi, geopolitica. Lo scenario attuale è irriconoscibile e come minimo, in compagnia di S&P, dovremmo porci il problema della vulnerabilità energetica italiana.
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