L’agenzia Standard & Poor’s ieri ha confermato il rating e l’outlook sul debito italiano. Secondo S&P l’accelerazione del programma vaccinale e gli stimoli fiscali dovrebbero facilitare una solida ripresa economica nel secondo semestre del 2021; il Pil dovrebbe crescere del 4,7% quest’anno e poi del 4,2% nel 2022.
Questo anche se da aprile l’Italia ha reintrodotto i limiti ai movimenti. Nonostante il debito pubblico su Pil sia salito di 22 punti percentuali, nota l’agenzia, il costo del debito continua a scendere. Il segreto di questo fenomeno si trova nella sintesi con cui l’agenzia motiva la conferma dell’outlook “stabile” che avviene come somma di un deterioramento delle finanze pubbliche a causa della pandemia, della politica monetaria della Bce che rimane altamente accomodante e del pacchetto di finanziamenti europei.
I rischi di lungo termine sulla sostenibilità del debito pubblico italiano rimangono ancorati al basso potenziale di crescita unita alla bassa produttività del lavoro negli ultimi dieci anni. A frenare la crescita italiana concorrono diversi elementi: un ambiente industriale debole, comportamenti anti-competitivi nei servizi professionali, un sistema giudiziario inefficiente, una Pubblica amministrazione gravosa e un mercato del lavoro penalizzato dagli alti costi legali e finanziari dei licenziamenti.
L’Italia, nota l’agenzia, rimane il secondo Paese industrializzato in Europa e il settimo al mondo e ha una posizione di creditore netto verso l’estero e un surplus primario; il debito pubblico è il secondo più alto d’Europa, ma il debito privato è il più basso tra i Paesi del G7 e i risparmi sono considerevoli. L’agenzia nota ancora le robuste esportazioni e un’economia diversificata. Il principale ostacolo alla ripresa nel breve periodo rimane lo sviluppo della pandemia; se le cose si dovessero normalizzare, però, l’alto livello di risparmi privati potrebbe portare a un boom dei consumi
A livello politico S&P sottolinea che il nuovo Governo potrebbe non convocare nuove elezioni fino a primavera 2023 e che l’esecutivo vuole rimandare il “consolidamento del bilancio statale” fino al 2023 o al 2024. L’azione del nuovo Governo è descritta nei termini di un “supporto fiscale supplementare”; a poche settimane dall’insediamento anche l’agenzia aspetta di valutare i provvedimenti del nuovo corso. A questo proposito ci aiuta a inquadrare la questione un articolo uscito sull‘Economist.
Secondo il settimanale, “il Governo Draghi può erogare assegni perché è lui che lo presiede”. Il nuovo Governo ha annunciato stimoli per 40 miliardi di euro, nota ancora l’Economist, e i rendimenti delle obbligazioni statali italiane si sono a malapena mossi; nel 2018 per un importo simile con un Governo appoggiato da populisti i mercati avevano “protestato”. Il privilegio del nuovo esecutivo, è la previsione, non durerà per sempre perché il ruolo di Draghi è probabilmente temporaneo e tra due anni ci saranno nuove elezioni. Questa finestra non è compatibile con una riforma strutturale del Paese che non può essere veloce e che quindi non potrà avvenire con Draghi che rimarrà, sempre secondo l’Economist, per “soli” due anni. Tutto quello che Draghi può fare è lasciare una traccia per i governi successivi; a quel punto i dubbi sull’Italia torneranno.
Questa analisi è forse il necessario complemento al giudizio di S&P. Oggi Draghi fa da scudo all’Italia nei confronti dei mercati, ma il tema di una ripresa strutturale e un recupero duraturo di competitività rimangono e prima o poi si tornerà a parlarne. La speranza è che la fase attuale venga sfruttata nel migliore modo possibile.
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