Standard & Poor’s ieri sera ha confermato il rating sull’Italia migliorando l’outlook da negativo a stabile. L’analisi dell’agenzia di rating parte dalla constatazione che tra il 2015 e il 2019 la crescita del Pil italiano è stata la peggiore tra le economie avanzate. Nonostante questo il surplus primario ha permesso allo Stato italiano di stabilizzare il debito su Pil al 133% nel 2019. Nello stesso arco temporale il debito privato è sceso fino a toccare, in termini di Pil, il dato più basso tra tutte le economie avanzate. Il sistema creditizio italiano, in sostanza, aggiungiamo noi, ha ristretto i prestiti a famiglie imprese penalizzando la crescita; il restringimento del credito delle istituzioni finanziarie alimenta un circolo vizioso in cui famiglie e imprese non particolarmente ottimisti sulle prospettive dell’economia nazionale frenano gli investimenti.



La pandemia, secondo l’agenzia, ha fatto venir meno questo equilibrio, “lockdown intermittenti e una prolungata incertezza economica hanno fatto salire il tasso di risparmio ai livelli più alti da molti anni mentre le imprese hanno dovuto indebitarsi”. Secondo S&P, il Pil italiano nel 2020 calerà del 9% per poi salire del 6,4% nel 2021. È una stima “generosa” che però S&P potrebbe rivedere al ribasso se ci fossero altri peggioramenti della pandemia.



A questo punto S&P si “butta” sull’Europa sottolineando che l’Italia, dopo essere stata per anni un contributore netto del budget dell’Unione europea, sarà beneficiaria dei fondi del Recovery fund tra il 2021 e il 2023. S&P conferma che gli aiuti dell’Europa non incideranno sul 2020 e che non arriveranno prima del 2021 inoltrato. L’agenzia di rating si sposta poi sul ruolo della Bce sottolineando il suo programma di acquisto di titoli e il fatto che la maggior parte del debito che l’Italia emetterà nel 2020 in seguito alla pandemia sarà comprato dalla Banca centrale europea. Il risultato è che l’Italia pagherà meno di interessi annuali rispetto al 2019.



I principali problemi dell’Italia sono invece sempre gli stessi: un mercato del lavoro rigido, una popolazione anziana, tasse elevate, gli impedimenti amministrativi, giudiziari e burocratici e le regole su servizi e prodotti.

C’è spazio infine anche per un’analisi politica in cui S&P sottolinea che le dinamiche all’interno della coalizione di governo rimangono complicate. Le regionali, sempre secondo l’agenzia di rating, hanno confermato le posizioni del Pd e della Lega mentre il referendum può essere visto come una vittoria del Movimento 5 stelle.

In conclusione l’immagine che si ricava dall’analisi è questa: l’Italia rimane un’economia diversificata con l’ottavo surplus estero più alto al mondo e uno status di creditore netto rispetto al resto del mondo. L’Italia allo stesso modo è un Paese che continua a consegnare i peggiori tassi di crescita delle economie sviluppate. L’Italia rimane in equilibrio vivendo di rendita e tassando a livelli record i propri cittadini in un contesto di burocrazia ostile alle imprese. Su questo Paese incombe l’incognita della pandemia e della sua gestione e poi il tema della “ripresa” che difficilmente potrà arrivare con più tasse, più burocrazia e più Stato. Queste due incognite sono l’orizzonte di breve e medio periodo su cui mercati e agenzie ci misureranno nei prossimi mesi.