“Inverno demografico”, “culle vuote” e perfino “inferno demografico”: tante definizioni per descrivere un problema che si trascina da decenni, ma ben poca concretezza, almeno fino ad ora, per proporre soluzioni efficaci.
Il declino demografico è diventato particolarmente vistoso dal 2015 e si è accentuato durante e dopo la pandemia da Covid-19. I dati sono impietosi e si inscrivono in una forbice che vede da un lato il nuovo record delle nascite: 392.598 nel 2022, e dall’altro l’elevato numero dei decessi, oltre 700mila. Tutte le possibili soluzioni indicate finora dalle diverse forze politiche, che si sono avvicendate al governo, si sono rivelate inefficaci e paradossalmente hanno accentuato il gap che da tempo caratterizza il nostro Paese.
A tutto ciò si aggiunge l’allarme lanciato dall’Istat in questi giorni con una drammaticità che non può essere né ignorata né sottovalutata: “Nei prossimi anni spariranno 11 milioni di italiani”. Giancarlo Blangiardo, recentemente confermato al vertice dell’Istat, ha aggiunto: “Perderemo 500 miliardi di Pil”. Non c’è dubbio: viviamo in un mondo che invecchia e gli 800mila ultranovantenni di oggi saranno presto almeno raddoppiati, per cui ci sarà una spesa sanitaria enorme per dare un’adeguata qualità di vita a una popolazione così invecchiata. È quanto si può ricavare dalla recente legge quadro (33/2023) sulla anzianità e sulla non autosufficienza.
Gli Stati generali della natalità
Tra le tante testimonianze che in questi giorni si sono sentite durante il convegno sugli Stati generali della natalità, vale la pena sottolineare quanto detto dal presidente Mattarella, che ha affermato: “Spetta alle istituzioni rimuovere gli ostacoli alla genitorialità. Lo dice anche la Costituzione”.
Ha poi aggiunto, con un tono che non lasciava adito a dubbi o incertezze: “Alle istituzioni compete la responsabilità di attuare politiche attive che permettano alle giovani coppie di realizzare il loro progetto di vita, superando le difficoltà di carattere materiale e di accesso ai servizi che rendono ardua la strada della genitorialità. Si tratta di una prescrizione della Costituzione che, all’art. 31 richiama la Repubblica ad agevolare ‘con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose’. Proteggendo la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
Di fatto però in questi ultimi anni non si è riusciti a tradurre questa prescrizione della Costituzione in azioni concrete ed efficaci, per cui non stupisce che Eugenia Roccella, ministro della Famiglia, abbia sottolineato: “Abbiamo bisogno di una vera rivoluzione culturale, di un cambiamento significativo per quanto riguarda la genitorialità. Siamo di fronte a un mondo diverso da quello dei nostri padri e anche dal nostro, ed è su questo che dobbiamo misurarci, perché non vogliamo tornare indietro, ma andare avanti”.
Serve quindi un approccio innovativo, trasversale per materia, strutturale e non episodico. Dal fisco agli incentivi alle imprese, dai bonus edilizi agli aiuti contro il caro bollette, dai fringe benefit all’assegno di inclusione che sostituirà il reddito di cittadinanza.
Ma uno degli aspetti più importanti di questa rivoluzione culturale fa perno sull’universo femminile e sulla annosa questione delle pari opportunità. Occorre sostenere il lavoro femminile, facilitando la conciliazione e l’armonizzazione tra vita e lavoro. Non basta consentire alle donne di continuare a lavorare dopo il secondo figlio: molte di loro, prive di una rete di servizi sociali efficaci, rinunzia al proprio lavoro, creando una ulteriore spinta all’impoverimento familiare.
È necessario sostenere anche le legittime aspirazioni di tante donne che cercano con il loro lavoro di realizzare ideali di impegno professionale attraverso cui esprimere una leadership femminile che marchi il cambiamento e generi un welfare creativo, un welfare in cui siano presenti autentiche opportunità di realizzazione personale, e non un welfare meramente assistenziale. Per questo, secondo la Roccella bisogna creare un ambiente di lavoro favorevole alla maternità e alla paternità e sostenere la famiglia attraverso tutti i provvedimenti legislativi, considerando come fondamentale il criterio dei figli, compreso il riferimento al numero dei figli, e quindi tutelando in particolare le famiglie numerose. C’è ormai una diffusa consapevolezza che riguarda la povertà infantile: bambini che nascono in famiglie che diventano sempre più povere e quindi diventano parte integrante del problema della povertà in Italia.
Una povertà che diventa presto anche povertà educativa e che sta diventando uno dei parametri più drammatici delle attuali disparità sociali. Ma per questo occorre lavorare tutti insieme: aziende, privato, politica, istituzioni. Senza pregiudizi di alcun tipo: sulla natalità non ci si può divedere e occorre moltiplicare risorse ed energie, con un pensiero creativo che non lascia nulla di insoluto. Partendo dal presupposto che la natalità è uno dei momenti più belli della vita personale, familiare e sociale, con ampi risvolti sul piano politico e socioeconomico.
Tocca alla politica sostenere il desiderio di maternità e di paternità dei giovani senza attendere di aver prima conquistato quella stabilizzazione economica che sembra una conditio sine qua non per mettere al mondo un figlio. Questa arriverà più tardi, se le istituzioni e la politica in primo piano si assumeranno la loro responsabilità, mentre la genitorialità ha un suo orologio biologico che non è rinviabile sine die, perché si può diventare genitore solo fino a una certa età, se si vogliono evitare situazioni in cui il ricorso alla procreazione medicalmente assistita sembra diventato quasi indispensabile.
La proposta Blangiardo
Proprio per questo la proposta lanciata da Giancarlo Blangiardo poche settimane fa sembra avere una concretezza che merita una particolare attenzione. Contro il calo delle nascite bene la detrazione perché interviene sul ceto medio. Serve un cambio di passo: chi ha figli deve sentirsi gratificato da una scelta politica. Sono quattro gli aspetti chiave di questa proposta. Prima di tutto l’obiettivo: ridurre il calo delle nascite. Poi la definizione dell’universo a cui ci si rivolge: la classe media. In terzo luogo, il metodo: il cambio di passo; non basta accelerare il proprio passo, occorre cambiarlo velocemente; e infine, al quarto punto: la necessità di una gratificazione da parte del mondo politico, che premia la scelta e sembra far emergere l’antico adagio: Dicite iustum quoniam bene. Ossia dite alle famiglie, e in particolare alle famiglie numerose, che avere dei figli è bene per tutto il Paese e che il Paese, a cominciare dalla classe politica, gliene è grato. E mostra la sua gratitudine in tutti i modi possibili. Non basta agire solo sulle risorse, chi fa figli deve percepire di non essere solo nel fare la scelta, ma di avere intorno una comunità, una sfera pubblica, che apprezza e gli è riconoscente.
Blangiardo, per incentivare le politiche per la natalità, difende la proposta Giorgetti, la detrazione fiscale, smontando una delle critiche più frequenti. Per cui ricorda che l’obiezione più comune alla detrazione come tale è quella della capienza, e quindi l’impossibilità, per una parte della popolazione, di portare in detrazione alcune spese. All’obiezione che si sente fare frequentemente, e cioè che in questo modo gli incapienti rimangono fuori, Blangiardo risponde distinguendo accuratamente tra le politiche di sostegno alla natalità e le politiche di contrasto alla povertà.
Secondo il suo ragionamento l’errore commesso più frequentemente in questi ultimi anni sta tutto nella logica di chi ritiene di affrontare il problema dando bonus agli incapienti o ai redditi bassi. È la vecchia soluzione dell’incentivo alla natalità per le classi più disagiate. Mentre per rilanciare la natalità occorre intervenire sul ceto medio, ossia sulla maggioranza degli italiani. In genere, almeno rispetto al primo e al secondo figlio, i genitori lavorano entrambi, anche se nella maggioranza dei casi non sono certamente ricchi, ma pagano le tasse. Tutt’al più ci potrebbero essere interventi efficaci nel campo delle politiche del lavoro per i giovani, facilitando il loro inserimento professionale, con particolare attenzione al mondo femminile.
E ora non ci resta che attendere fatti concreti e vedere se davvero riusciamo a far salire l’indice di natalità di un 20%, anche grazie alle detrazioni fiscali: i bonus li abbiamo sperimentati, ma non sono stati efficaci! Oggi ci serve una adeguata rete di servizi sociali; una maggiore e migliore riconoscimento del lavoro femminile; e le tanto promesse detrazioni fiscali.
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