Progettiamo per il rilancio”, questo dovrebbe essere il nome scelto dal premier Giuseppe Conte per gli Stati generali. Il presidente del Consiglio punta, dunque, sul verbo al plurale per dare quel senso di condivisione che al momento manca. Il dibattito sugli Stati generali, infatti, ha portato a forti e nette contrapposizioni. Di sicuro può contare sul sostegno di Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri ha scritto su Facebook: «I prossimi Stati generali saranno un importante momento di dibattito e pianificazione. Un nuovo inizio, da cui ripartire, insieme, puntando alla crescita del nostro Paese». Di Maio evidenzia l’aspetto della «sinergia» per rendere l’idea del fatto che bisogna «giocare da squadra». Concetti sui quali “gioca” la dialettica politica. È anche un modo per mettere spalle al muro il centrodestra che ha deciso di non partecipare all’appuntamento? E così questo “Progettiamo per il rilancio” potrebbe dare la sensazione che l’opposizione non voglia partecipare a questa progettazione.



STATI GENERALI, CONTE CAMBIA NOME MA…

Una cosa è certa. Chi pensa che dare un nome agli Stati generali possa servire a risolvere i problemi attorno a questo evento si sbaglia di grosso. Questi Stati generali sono ben diversi da quelli che precedettero la Rivoluzione francese. Se politicamente, dal punto di vista del premier Giuseppe Conte, sono una mossa intelligente, non si può esprimere giudizio positivo per quanto riguarda un punto di vista prettamente operativo. La sensazione è che non possano servire a nulla. Evidentemente il presidente del Consiglio vuole avere un margine di negoziato con gli interlocutori economici, ma gli unici risultati concreti che potrebbe causare l’evento “Progettiamo per il rilancio” potrebbero riguardare solo Conte e la sua sopravvivenza politica. Una macchina governativa come quella italiana – composta da funzionari e tecnici nei ministeri – ha davvero bisogno di confrontarsi con i leader di categoria per progettare insieme il rilancio dell’Italia? Dovremmo allora preoccuparci, perché vorrebbe dire che il governo non sa di cosa abbiamo bisogno.

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