La Ue occhiuta sullo stato di diritto in Italia – per ritorsione evidente e abusiva della tecnocrazia di Bruxelles contro il governo italiano – non teme di coprirsi di ridicolo quando pubblica il suo rapporto annuale allorché da settimane il presidente francese Emmanuel Macron va esercitando “pieni poteri” con tali livelli di arbitrio che ormai a Parigi voci sempre più numerose denunciano un “golpe”.
L’ultima puntata di un’escalation sconcertante – sul filo di una costituzionalità sempre più dubbia – ha visto l’altra sera Macron respingere brevemente in tv la candidatura a premier di Lucie Castets da parte del Nouveau Front Populaire (NFP): la formazione della sinistra unita che è emersa come primo partito francese dopo i due turni delle elezioni legislative anticipate, chiamate dallo stesso Macron dopo la sua débâcle all’eurovoto. “Castets non ha la maggioranza all’Assemblea”, ha tagliato corto un presidente spazientito. Ma l’affermazione è inaccettabile sul piano costituzionale e discutibile su quello politico.
Neppure nel sistema semipresidenziale francese è prerogativa dell’Eliseo valutare a priori ciò che può riscuotere o no la maggioranza del Parlamento, che resta il centro della democrazia sovrana. Se un candidato premier ha o no la fiducia nella democrazia francese lo decide in autonomia l’Assemblea (dove l’anno scorso non aveva la maggioranza neppure la contestatissima riforma delle pensioni, varata da Macron attraverso un discusso comma costituzionale). Chi può dire con certezza oggi che la candidata NFP non avrebbe la maggioranza per formare un esecutivo? Magari – in un parlamento “impiccato” e incattivito dalle elezioni-shock – a Castets potrebbero giungere voti “filibustieri” dalla destra lepenista, o perfino da macroniani frustrati e delusi (fra tre anni sono in calendario le presidenziali e Macron non sarà rieleggibile).
Forse è anche a questo fine che Macron si è affannato a render chiaro che alla candidata di sinistra sono preclusi i voti del cosiddetto “fronte presidenziale”, peraltro sonoramente battuto nell’arco di cinque domeniche in tre diverse consultazioni su scala nazionale in Francia. Ma è su questo snodo che il presidente francese ha ribadito a livello quasi strutturale il conflitto d’interesse in un presidente che nell’architettura istituzionale francese esercita anzitutto poteri di garanzia arbitrale istituzionale (pur disponendo di poteri esecutivi; ma è allo stesso tempo un partecipante attivo alla competizione politica, non diverso da Marine Le Pen o dall’“antagonista” di sinistra Jean-Luc Mélenchon. Chi fa ostruzionismo – chi “ricatta” il parlamento fresco di verifica elettorale popolare – è il presidente stesso: deciso a usare (abusare) del suo ruolo per impedire che il Paese sia guidato da un esecutivo sgradito a “Jupiter” (copyright napoleonico: Macron medesimo).
Il conflitto era già esploso in modo drammatico all’origine della crisi francese, quando l’Eliseo ha deciso in totale autonomia di sciogliere l’Assemblea: per una non meglio definita “necessità di chiarimento politico interno”, che a mala pena ha coperto l’interesse di potere personale in contrasto con quello del Paese.
Sette settimane dopo il presidente sembra voler insistere. La Francia avrebbe bisogno di un nuovo governo al più presto e NFP ha ritenuto suo diritto-dovere indicare un candidato premier. Ma l’Eliseo – quasi fosse la reggia del Re Sole – ha messo tutti alla porta, dando appuntamento a tutti a dopo Ferragosto. Macron ha invocato alla bisogna e a proprio vantaggio una “tregua olimpica” nei giorni dei Giochi di Parigi, di cui si sono invece fatti beffe Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, Bibi Netanyahu e i leader di Hamas.
Nel frattempo resterà in carica il governo Attal, che Macron aveva gettato nella spazzatura con lo scioglimento dell’Assemblea, salvo respingerne le dimissioni un mese dopo a voto ultimato, salvo accettarle una settimana dopo, avendo stabilito “a braccio” che i ministri rieletti parlamentari – in carica per gli affari correnti ma dimissionari – avrebbero potuto esprimere i loro voti (decisivi) per il rinnovo delle cariche in Assemblea. Qui, con un colpo di mano, Ensemble ha confermato alla presidenza un’esponente macroniana grazie ad alcuni voti “fuori sacco” della destra gollista, mandando subito in frantumi la narrazione del “fronte repubblicano” con cui Macron aveva negoziato con NFP le “desistenze” necessarie a contenere l’avanzata della destra lepenista (emersa di gran lunga come prima forza politica francese a due test proporzionali consecutivi).
In quest’Europa le minacce per lo stato di diritto democratico verrebbero dal progetto di premierato in Italia? Sembrano venire, anzitutto, da un’eurocrazia più sbandata ancora del presidente francese.
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