La pandemia di Covid del 2020 in Italia ha avuto le sue manifestazioni epidemiche iniziali il 30 gennaio, quando due turisti provenienti dalla Cina sono risultati positivi per il virus Sars-CoV-2 a Roma. È opinione diffusa tra clinici e scienziati che già dal mese di dicembre in Italia ci fossero casi di Covid-19, anche se un primo picco di infezioni è stato rilevato il 20 febbraio 2020, con 16 casi confermati in Lombardia, a Codogno, in provincia di Lodi, diventati 60 il giorno successivo, con i primi decessi segnalati negli stessi giorni. Al 5 luglio 2020 sono stati registrati 241.611 casi positivi, tra cui 192.108 persone dimesse e guarite e 34.861 persone decedute. Sono stati effettuati 5.638.288 tamponi per il virus, per cui oggi si può affermare che l’Italia è l’undicesimo paese al mondo per numero di casi totali e il quarto per numero di decessi. Ma è anche un Paese a cui dall’Europa al mondo intero si riconosce il merito di una serie di iniziative volte a bloccare il virus, investendo tempestivamente e massicciamente sulla prevenzione: non solo gel e mascherine, ma anche e soprattutto con l’imposizione di un lockdown severamente controllato.
Decreti e Dpcm come pseudo-terapia
Il 23 febbraio il Cdm emana il decreto-legge n. 6, che sancisce la chiusura totale dei comuni con focolai attivi e la sospensione di manifestazioni ed eventi sugli stessi comuni; nei giorni successivi il premier Conte emana una serie di decreti attuativi (Dpcm) in cui le misure di restrizione si fanno progressivamente più ferree ed estese via via all’intero territorio nazionale: Dpcm del 25 febbraio, del 1º, 4, 8, 11 e 22 marzo e del 1º, 10 e 26 aprile. Bisogna attendere il Dpcm del 16 maggio 2020 per dare inizio della fase 2, in cui riprendono molte attività commerciali inclusi bar, ristoranti e parrucchieri e si annullano alcune restrizioni, quali isolamento sociale e spostamento regionale.
Eliminata definitivamente l’autocertificazione da esibire alle autorità competenti, riprende lo spostamento tra le regioni e dal 3 giugno 2020 c’è un ulteriore allentamento delle restrizioni.
In questi giorni però, a distanza di sei mesi, parte una nuova stretta sugli arrivi dal Bangladesh: settima comunità in Italia, con almeno 175mila persone, di cui il 30% nel Lazio, con un tasso di occupazione del 61%. Il timore che possano crescere i casi importati ha spinto l’Italia, per la prima volta dall’inizio dell’emergenza sanitaria, a bloccare alla frontiera per motivi di sanità pubblica i cittadini di un paese extra Ue: 165 bangladesi sono stati respinti agli aeroporti di Fiumicino e Malpensa.
Riprendono timori e restrizioni, che creano una pesante cultura del sospetto. Gli effetti economici del Covid appaiono ogni giorno più disastrosi; anche perché l’attuale classe dirigente non sembra avere le capacità per gestire la situazione economico-sociale che si è creata e che affonda le sue radici nei governi precedenti. C’è una miriade di problemi non risolti da anni, che hanno messo l’industria italiana, sia la grande industria, ormai quasi del tutto scomparsa, che quella medio-piccola, vera risorsa del Paese, in grave situazione di affanno. E il Covid appare a giorni alterni, una volta causa del disastro globale in cui si dibatte il Paese, oppure unica soluzione su cui puntare per ottenere dall’Europa le risorse necessarie per rilanciare il Paese oltre i confini pre-Covid.
Le ambiguità del governo e la democrazia in bilico
È su questa ambiguità che si vanno attestando una serie di comportamenti del governo, tesi a prolungare lo stato di emergenza, che rappresenta un forte alibi per mantenere alcune misure restrittive nel Paese, soprattutto a livello parlamentare, in cui sotto l’incubo del Covid si fanno digerire a maggioranza e opposizione una serie di norme e di indicazioni non concordate, non negoziate e tanto meno condivise, quando diventano decisioni. Ad oggi l’alibi-Covid sembra poter giustificare tutto, per cui non stupisce che si voglia prolungare come minimo fino a dicembre lo stato di emergenza per poter continuare a decidere in modo autoreferenziale, ignorando sostanzialmente il Parlamento, salvo venire in Aula ad informare di cose già fatte e a promettere le futuribili, senza che siano suffragate dai fatti. Il ministro Speranza ha appena affermato che “Nel mondo la pandemia è nella sua fase più acuta. Non possiamo vanificare i sacrifici fatti dagli italiani in questi mesi. È per questo che abbiamo scelto la linea della massima prudenza”.
Bisogna ricordare al governo, però, che prudenza non fa rima solo con emergenza, ma anche con efficienza e quel che manca a questo governo oggi è proprio la possibilità di dimostrare l’efficacia delle decisioni precise. Mentre emergenza non fa rima con indifferenza verso le istituzioni – compreso il Parlamento! – che chiedono di partecipare ai processi decisionali con le competenze che spettano ad ognuno, frutto di scelte democratiche consolidate.