Finora la sola ipotesi di prorogare lo stato di emergenza ha procurato al governo fin troppi problemi, come se Conte e i partiti che lo sostengono non ne avessero già abbastanza. Un segno di debolezza politica averlo fatto in modo estemporaneo, prima proponendo una proroga fino al 31 dicembre, poi facendo marcia indietro, e poi ventilando l’ipotesi di una proroga fino a fine ottobre. Eppure, l’operazione era stata anticipata da alcuni indizi, a cominciare da quello strano annuncio del ministro Lamorgese di “tensioni sociali” a settembre, seguito dal risalto mediatico attribuito agli ultimi contagi e ai focolai sparsi in alcune Regioni.
La presidente del Senato, Casellati, aveva chiesto che sulla proroga votasse il Parlamento, ma questo non avverrà oggi. È però probabile che la comunicazione odierna del ministro Speranza sulla proroga delle norme anti contagio in scadenza il 14 luglio diventi il parafulmine delle tensioni alimentate dal governo. Sulla proroga dello stato di emergenza, che deve essere decisa da una delibera del Consiglio dei ministri, riferirà Conte entro il 31 luglio. La scelta di prorogare non è stata ancora presa e avverrà “nel debito confronto con il Parlamento”, aveva dichiarato il presidente del Consiglio il 10 luglio.
Eppure, non basta dire che la proroga dello stato di emergenza sarebbe una decisione sbagliata perché manca l’emergenza. Il punto è che la legislazione vigente “trasforma il Governo della Repubblica nel Prefetto d’Italia” spiega Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo. Un’anomalia che il Codice della protezione civile (decreto legislativo 1/2018) ha ereditato dal fascismo e che andrebbe corretta subito.
“Il virus è molto presente, dobbiamo evitare una seconda ondata”: una dichiarazione di Merkel al vertice di Meseberg sembra giustificare una proroga dello stato di emergenza da parte del governo.
A mio avviso no! Lo stato di emergenza è una situazione di fatto, effettiva, non presunta o ipotizzata nel futuro anche prossimo. Un conto è dire che bisogna fare attenzione al pericolo di una seconda ondata, il che non implica misure straordinarie attive, bensì di vigilanza; altro è uscire dal regime giuridico dei poteri ordinari in una situazione in cui la pandemia è sotto controllo e in cui in 15 Regioni non vi sono nuovi ammalati, né deceduti.
La Casellati ha lamentato l’emarginazione del Parlamento e ha chiesto che l’eventuale stato di emergenza venga votato in Aula. Può farlo?
Il governo è sempre tenuto a presentarsi in Aula a richiesta delle Camere e queste possono sempre esercitare, a prescindere dal rapporto di fiducia, i loro poteri di indirizzo e di valutazione nei confronti della politica del governo, ad esempio votando, a seconda dei casi, una risoluzione o una mozione dopo il dibattito.
Se questa vicenda dello stato di emergenza nazionale dovesse essere condotta eludendo il confronto parlamentare?
Sarebbe un fatto grave di violazione delle regole che disciplinano la forma di governo parlamentare.
Sappiamo che lo stato di emergenza viene deliberato dal Cdm, sulla base della normativa del 2018 sulla protezione civile. Quali sono le sue osservazioni?
Il Codice della protezione civile (n. 1 del 2018) è un aggiornamento della legge n. 255 del 1992 e purtroppo si tratta di una disciplina che proprio su questo punto appare in palese contrasto con la Costituzione. Il legislatore sia nel 1992, sia nel 2018, muove dal presupposto proprio delle vecchie leggi di polizia, per le quali l’emergenza era una condizione che consentiva di esercitare poteri fuori dal quadro ordinario. Insomma l’emergenza rappresentava una fonte di forza superiore a quelle istituite dalla Costituzione.
Ci spieghi bene questo punto.
La nostra legislazione commette l’errore di ritenere che i poteri esercitabili in caso di emergenza non siano riconducibili alla Costituzione; come se l’emergenza non fosse contemplata dalla Carta. La qual cosa non è affatto vera, per cui bisogna riflettere su questo quadro legislativo ed eventualmente modificarlo rapidamente.
Torniamo al Codice della protezione civile.
La disciplina del Codice della protezione civile, ammettendo la deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale per opera del Consiglio dei ministri, autorizza l’emanazione delle ordinanze di protezione civile “in deroga ad ogni disposizione vigente, (…) e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea”. Questo trasforma il Governo della Repubblica nel Prefetto d’Italia. Tale disciplina, in realtà, è un adattamento dell’articolo 2 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza scritto durante il fascismo e che ha creato non pochi problemi alla Corte costituzionale, con una giurisprudenza della fine degli anni 50 alquanto problematica.
Quali sono le sue considerazioni?
Questo genere di poteri si potevano ammettere durante lo Statuto Albertino, in ragione della sua flessibilità, ma non certamente sotto la vigenza della Carta repubblicana.
E che cosa fa la nostra Costituzione?
La Costituzione ha ricondotto tutti i precedenti poteri “eccezionali” all’interno delle fonti costituzionali, non solo a garanzia dei diritti costituzionali, ma anche a salvaguardia dei rapporti inter-istituzionali fondati sulla centralità del Parlamento. Oltre alla previsione del decreto legge, per i casi straordinari di necessità e d’urgenza (art. 77 Cost.), appare esemplare proprio la disposizione sullo stato di guerra.
Perché richiama lo stato di guerra?
Per quanto grave, una situazione di emergenza lo è sicuramente molto meno di una eventuale guerra. Ora, non pare accettabile che, mentre per lo stato di guerra la Costituzione prevede la deliberazione delle Camere, con la quale sono conferiti al Governo i poteri necessari (art. 78), per l’emergenza nazionale invece sarebbe sufficiente una delibera dello stesso governo che si conferisce i “pieni poteri”, quali sono quelli che consentono di derogare in modo unilaterale alle leggi, tagliando fuori le Camere.
Qual è la conclusione?
Nella Costituzione non ci sono più “pieni poteri”, ma solo “poteri necessari” e spetta al Parlamento conferirli. Di conseguenza, queste leggi che si ispirano ancora alla tradizione delle leggi passate sono in palese contrasto con quello che dispone la Costituzione.
Cosa si può dire di un Governo che propone di prorogare lo stato di emergenza quando la pandemia appare sotto controllo?
È evidente che la paura è uno strumento di dominio formidabile. La proroga dello Stato di emergenza avrebbe l’effetto di coprire le fratture della maggioranza e di compattarla e la conseguenza ultima sarebbe che le scelte che si faranno saranno imposte, prima che alle opposizioni, alla stessa maggioranza.
Cosa possono fare le opposizioni? C’è una difesa da questo abuso di potere?
Le opposizioni sono per definizione minoranze, anche se dotate di una certa massa critica, per cui possono intervenire solo se si apre un dibattito parlamentare e il Governo si presenta in aula. Se si dovesse superare una certa soglia, avrebbero la via poco comoda della piazza.
(Federico Ferraù)