Diventa sempre più difficile trovare il bandolo della matassa nella situazione politica italiana. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha deciso la proroga dello stato di emergenza del Paese a causa del Covid–19 fino al 31 gennaio 2021. Praticamente, l’Italia resterà in questa condizione per un anno intero, unico Paese in  Europa. È vero che il bilancio di ieri, superati i 2.500 contagi in 24 ore, ha messo di nuovo in maggiore allarme un po’ tutti e quindi la scelta del premier potrebbe essere giustificata e suggerita dallo stesso comitato tecnico–scientifico, o comunque ratificata dopo le comunicazioni al Parlamento.



Ma è anche vero che la situazione era stata giudicata, sino alle cinque di ieri pomeriggio, sotto controllo e che gli stessi virologi, epidemiologi, esperti di vari settori collegati alla ricerca e allo studio dei virus, si dividono spesso duramente sulla pericolosità di questi nuovi contagi, in gran parte emergenti da un tracciamento complessivo (i famosi tamponi) della popolazione italiana.



Ieri il numero dei tamponi fatti ha battuto ogni record: oltre 115mila. Il numero delle terapie intensive, dei deceduti e dei ricoverati con sintomi è stato quasi in linea con il numero dei giorni precedenti. Alcuni medici sostengono che spesso in Italia si è quasi “schiavi del bollettino” e che i “numeri vanno interpretati” e che la portata dei contagi e dei ricoverati rispetto al resto dei Paesi europei non è paragonabile per pericolosità. Forse la linea dei lockdown limitati ad alcuni territori e ai focolai che si scoprono sembra quella più condivisa. Ma ognuno dice la sua e Conte decide prima ancora di consultare il Parlamento.



Lo stato di emergenza, anche se non si tratta di un lockdown generale, mette maggiore ansia in un paese che è angosciato da altre prove che lo attendono, non solo in campo sanitario. In più, inserisce un nuovo motivo di polemica, proprio mentre ci si dovrebbe unire in uno sforzo comune sia per affrontare la pandemia, sia per affrontare quella che ormai sembra una crisi di sistema.

In questo 2020, non c’è dubbio che siano venuti a galla i problemi  che attraversano tutte le democrazie parlamentari. Le cause di tutto questo sono molteplici, riguardano tutti paesi occidentali e mettono in dubbio certezze che un tempo erano ben salde.

La democrazia parlamentare, soprattutto in questi anni, sembra più preoccupata di garantire un libero mercato che abbia poche  regole, piuttosto che la coesione sociale e i diritti di tutti i cittadini. In questo modo si sono accentuate le differenze sociali, si sono ridotte le funzione dei parlamenti e si è creata confusione fra i tre classici poteri.

L’eco dello scontro, ai limiti della decenza, tra Donald Trump e Joe Biden nel primo dibattito televisivo per le presidenziali americane ha lasciato un po’ tutti stupefatti, ma è sembrato un segnale allarmante per come si presenti oggi la democrazia americana, quella che è stata insieme alla Gran Bretagna, pur con tutti i suoi limiti, uno dei maggiori riferimenti per i democratici di tutto il mondo.

Ma, è impossibile fare adesso un discorso generale e al momento occorre concentrasi sulla situazione italiana. Guardando gli ultimi avvenimenti, sembra che l’Italia sia veramente sull’orlo di una vera e propria crisi di sistema. C’è un governo che è composto principalmente da due forze che, al momento, hanno più motivi di divisione che di coesione e unità. In altre parole, siamo di fronte a un esecutivo che al suo interno è quasi diviso su tutto rispetto ai problemi fondamentali. Tra Movimento 5 Stelle e Partito democratico c’è persino differenza nei confronti della democrazia parlamentare.

Il fondatore del M5s ha detto che non crede nella democrazia parlamentare e rappresentativa. C’è voluta una risposta, accennata, a cui si è dato poco peso nel dibattito politico, del segretario del Pd Nicola Zingaretti, che si dichiarato non d’accordo con Beppe Grillo.

Ma se lo sfondo è questo, si può vedere poi la differenza di dichiarazioni tra M5s e Pd sul ruolo della magistratura (almeno in una parte del Pd) e sugli aiuti europei da gestire, compreso il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) e la gestione degli aiuti europei che dovrebbero arrivare con un ritardo che adesso diventa inquietante.

In fondo, si potrebbe dire che tutto questo è in parte gestibile ed era  scontato, specificando che l’accordo governativo è nato con l’obiettivo di contrastare solamente la possibile vittoria di Matteo Salvini e in fondo di un’alternativa di centrodestra che non appare più credibile, nella sua coesione e nella sua capacità, dello stesso governo.

Ma l’acrobazia di Conte, nella gestione del “primo” e del “secondo” suo governo traccia solo una linea difensiva che fa acqua da tutte le parti e, scongiurando il “pericolo” del centrodestra, ha di fatto indebolito tutta la politica nel suo complesso, non riuscendo tra l’altro a creare un’unità necessaria per superare una crisi di sistema.

Insistiamo su questo concetto di crisi di sistema. Non ci sono solo le critiche di Sabino Cassese sulla ridotta funzione del Parlamento, sul taglio lineare dei parlamentari avvenuto cancellando due articoli della Costituzione, con un referendum che ha esaltato solo Luigi Di Maio. Il problema è che, guardando ai risultati delle elezioni regionali, vedendo le proiezioni nazionali e i sondaggi, non esiste solo un governo che è in minoranza numerica nel Paese, ma paradossalmente maggioranza in Parlamento. Dall’elenco dei partiti o delle forze politiche o dei cosiddetti movimenti, non esiste più un punto di riferimento, un autentico partito di maggioranza relativa intorno a cui sviluppare una linea politica di coalizione. Non solo: il proporzionale è destinato ad aumentare ancor più la confusione. 

Se la Lega perde voti e non raggiunge il 24 percento, il Pd è ancorato al 20 percento, mentre l’attuale partito di maggioranza relativa in Parlamento sta scivolando al quarto posto della classifica, sotto probabilmente il 15 percento, che sta invece guadagnando Giorgia Meloni con il suo Fratelli d’Italia. Intanto Forza Italia è ridotta ai minimi termini, come altri leader con piccoli gruppi, e con una funzione marginale, anche se a volte originale. 

C’è qualcuno che può spiegare quale tipo di maggioranza funzionante, coesa, può uscire da un simile panorama politico?

Basta questa dispersione, questa frammentazione politica per delineare una crisi di sistema veramente grave. Accenniamo solamente che a questa confusione che si può vedere in Parlamento occorre aggiungere l’invadenza delle magistratura nella politica e l’invadenza di una burocrazia che si può definire solamente borbonica nel migliore dei casi.

In un’altra realtà, quella che si vive ogni giorno nel Paese come cittadini, si spera in un governo che almeno assomigli a un esecutivo di unità nazionale che affronti la situazione sanitaria, occupazionale, economica, scolastica. Al posto di una simile speranza si assiste invece a una ostinata vocazione di divisione che sta diventando sempre più allarmante. Appunto la caratteristica di  una crisi di sistema.