DA BASILEA A PADOVA, LO STATO DEVE CONCEDERE LIBERTÀ SUL “FINE VITA” MA ANCHE SULLA PROTEZIONE: PARLA IL DOCENTE
La libertà è tutto, ma deve essere anche “tutta”: secondo il professor Alessio Musio, docente di Filosofia morale e Bioetica all’Università Cattolica, sul tema del “fine vita” non bisogna fare eccezione nel “normare” tutti i vari casi che si avvicinano a questo delicato dramma esistenziale. I recenti casi di Basilea e Padova – da un lato la donna che fugge in Svizzera per il suicidio assistito in clinica, avvisando il marito solo via mail (finita in spam), dall’altro una famiglia che ha assistito per 37 anni il figlio in stato semi vegetativo dopo un incidente, e morto naturalmente negli scorsi giorni – hanno riacceso ulteriormente il dibattito mentre a livello regionale proseguono le proposte di legge dei radicali sui tempi più “stretti” per il suicidio assistito con iter scandito dalla Consulta.
Raggiunto da “Il Giornale” il professor Musio prova a spiegare come il tema della bioetica non deve avere direzioni unidirezionali: «È significativa la scelta di usare un termine come protezione’ da parte di chi per tanti anni ha voluto bene a un figlio, un fratello e un amico, riuscendo a trasformare (in modo non scontato) il dolore in una più grande capacità di cura quotidiana». Una pratica come quella emersa dalla vicenda di Padova – ovvero la cura per una condizione di gravissima disabilità – non deve essere considerata un accanimento: «È stata una protezione da una società che spesso trasforma la vita delle persone in ‘casi’ su cui scontrarsi ideologicamente, introducendo l’idea che in determinate condizioni non valga la pena vivere», spiega il docente.
PROF. MUSIO: “LO STATO NON DEVE PERMETTERSI DI DETTARE LE CONDIZIONI IN CUI NON ABBIA SENSO VIVERE”
Sul fine vita l’equivoco più sbagliato è quello di considerare, secondo il prof. Musio, la condizione di disabilità lunga come un «essere in fine vita»: è proprio nel dibattito anche mediatico che tale assunto si risulta inevitabilmente errato. Si compie un’astrazione, sottolinea il docente di bioetica: «Si parla di una fase della vita dimenticando che in gioco ci sono le persone umane con le loro storie, e nelle storie non tutto accade per la propria volontà». Nel rispettare i diritti di tutti, lo Stato va auspicato che in merito al piano etico «non si permetta di indicare le condizioni in cui non abbia senso vivere, pena la perdita del suo essere appunto democratico»; di contro invece, spiega Musio, lo Stato deve aprire a tutte le situazioni in cui si può trovare una persona, a prescindere dalla propria volontà.
Altro punto smentito dal professore della Cattolica è la corsa a ribadire l’esigenza di una legge sul fine vita dopo la sentenza della Corte Costituzionale: «Le leggi in realtà esistono, mentre nell’immaginario ci sono solo dei vuoti. Non è un caso che nel dibattito si sovrappongano situazioni molto diverse che confondono il rifiuto dell’accanimento terapeutico, con l’abbandono terapeutico, il suicidio assistito e l’eutanasia». Il rischio è che oggi una logica di cura e relazione, un’attenzione per chi vige in gravi condizioni, viene visto il tutto come un “sospetto”: «chi meritoriamente sa praticarli sente di dover proteggere se stesso e i propri cari. Siamo vittime di un modello irrealistico di self made man che non sappiamo che cosa sia, anche se si sta diffondendo sempre più e lo vediamo grottescamente realizzarsi proprio nell’atto tragico e disperato di chi chiede di potersi dare la morte o di riceverla da altri se non ne è in grado», racconta ancora il docente al “Giornale”.