Una recente retata di sicurezza all’interno di un vasto campo profughi della Siria che ospitava 44.000 persone ha portato alla luce una serie di armi e una donna yazida che era stata trattenuta dal gruppo per quasi 10 anni. Il timore, come riportato dal Wall Street Journal, è che proprio da quei luoghi possa rinascere lo Stato islamico. I militanti che vivono al loro interno insieme alle famiglie sono infatti molti. Circa 9.000 combattenti inoltre sono trattenuti separatamente in centri di detenzione nella stessa regione.



Le Forze Democratiche Siriane con l’aiuto degli Stati Uniti stanno tenendo sotto controllo la situazione, ma la principale sfida è alleviare la difficile situazione umanitaria in cui gli abitanti dei campi profughi vivono e contrastare gli sforzi dello Stato islamico per radicalizzarli. Il ruolo degli americani in tal senso è cruciale. Non esiste infatti un piano alternativo per ospitare i civili sfollati e detenere i combattenti. Le conseguenze di un abbandono della missione sarebbero drammatiche. “Al-Hol è una bomba a orologeria perché è uno dei luoghi più miserabili della terra”, ha detto Dana Stroul, ex alto funzionario del Pentagono per il Medio Oriente.



Stato islamico potrebbe rinascere dai campi profughi in Siria: i rischi per il futuro

Le preoccupazioni relative ai campi profughi in Siria sono rivolte però soprattutto al futuro e in particolare alle nuove generazioni. La popolazione complessiva del campo profughi di Al-Hol e della vicina struttura di Roj è di 46.500 persone e comprende donne che si sono sposate con membri dello Stato islamico o sono state costrette ad avere figli con i combattenti del gruppo. Più della metà dei residenti ha meno di 12 anni. Il rischio che possano essere radicalizzati giorno per giorno è alto. 

La soluzione a lungo termine è rappresentato dall’identificazione e della selezione la popolazione nei campi e nei centri di detenzione. I rimpatri però in questi anni sono andati avanti molto a rilento. Negli ultimi tre sono state riportate in patria circa 10.200 persone di circa 75 nazionalità diverse ad Al-Hol e Roj. Altri non possono rientrare a causa di motivi umanitari e rappresentano una minaccia per il Paese.