Il rapporto fra Stato e Regioni è centrale per definire una struttura istituzionale efficiente e dare risposte sempre più adeguate ai bisogni delle persone sul territorio. “Quale Stato e quali regioni?”, infatti, è il tema di uno degli incontri del Meeting nel quale la professoressa di diritto costituzionale dell’Università degli Studi di Milano Lorenza Violini dialogherà con tre presidenti di Regione: Stefano Bonaccini (Emilia-Romagna), Massimiliano Fedriga (Friuli-Venezia Giulia) e, infine, il presidente della Lombardia Attilio Fontana.



Proprio a quest’ultimo abbiamo chiesto di anticipare alcuni dei temi che verranno sviluppati nell’incontro, a partire dall’attuale stato dei rapporti Stato-Regioni per arrivare alle opportunità che aprirebbe l’autonomia differenziata e alla gestione di fisco e Pnrr.

La collaborazione tra amministrazione centrale e amministrazioni regionali oggi si sviluppa grazie a strumenti come la Conferenza Stato-Regioni. Tra potere centrale e istituzioni locali c’è una reale collaborazione o a volte finiscono per confrontarsi come parti contrapposte?



Il tipo di collaborazione si è modificato, perché pur avendo previsto fin dalla Costituzione un sistema policentrico c’era la separazione delle competenze. Dopo le diverse riforme c’è stata un’ibridazione. Ci sono delle competenze che sono a metà strada fra Regioni e Stato, per cui si è dovuto intraprendere un rapporto più discorsivo, di effettiva collaborazione. Credo che il sistema delle Conferenze stia funzionando abbastanza bene, anche se le Regioni hanno più volte ribadito come sarebbe assolutamente necessario che la Conferenza Stato-Regioni trovi un riconoscimento, una copertura costituzionale perché ci possa essere un’efficiente definizione delle modalità di collaborazione. Ci sono momenti in cui la confusione di competenze porta a impugnative e a difficoltà interpretative. Credo sia necessario arrivare alla costituzionalizzazione di questo organismo e al chiarimento delle rispettive competenze.



L’autonomia differenziata su cui sta lavorando Calderoli non sembra decollare: quali sono i nodi non ancora sciolti e quali le opportunità che la nuova legge potrebbe aprire per le Regioni? 

L’autonomia differenziata sarebbe un’opportunità per tutto il Paese. Chi grida al rischio che lo Stato si spacchi, alla secessione dei ricchi rispetto ai poveri, non fa che lanciare degli slogan, efficaci da un superficiale punto di vista mediatico, ma che non rispettano la verità dei fatti. Sarebbe un mezzo per migliorare ed efficientare le risposte che vengono date ai cittadini. È un’autonomia della responsabilità, in cui si responsabilizzano sempre di più gli enti territoriali, in cui c’è anche la possibilità di un maggiore controllo su come vengono spesi i soldi dei cittadini. La riforma è prevista dalla Costituzione, è una cosa da cui non possiamo prescindere. Dobbiamo fare in modo che tutta la nostra Costituzione venga applicata. Il discorso più importante è quello della responsabilizzazione. Durante la pandemia sono state le Regioni a dare le risposte più importanti: quando è stato il momento di dettare le regole per le riaperture, il Governo non riusciva a predisporle e alle 3 di notte come Conferenza delle Regioni decidemmo di fare noi le regole che poi vennero approvate dall’esecutivo.

Restano da definire, però, i livelli essenziali di prestazione.

Si parla tanto di Lep, forse è la prima volta nella storia della Repubblica che si parla di livelli essenziali delle prestazioni. Aspettiamo dal 2009 che vengano preparati. Siamo favorevolissimi! Teniamo conto che la Regione Lombardia è quella che costa meno di tutte. Costa 3.400 euro a cittadino quando la media nazionale è di quasi 4.800 euro.

In quali settori la Lombardia vorrebbe più autonomia e come potrebbe migliorare i servizi per i cittadini se venisse accordata?

Nella sanità una maggiore autonomia ci potrebbe dare la possibilità di essere ancora più efficienti di quanto siamo, potremmo avere una gestione delle emergenze sapendo quali sono e come muoverci. Potremmo in qualche modo dare degli incentivi nelle zone in cui non troviamo medici disposti ad andare a lavorare. Potremmo avere rapporti più diretti su quelle che sono le situazioni di difficoltà. Il fatto che i soldi ci arrivino dallo Stato vincolati nei cosiddetti silos è una limitazione: abbiamo risorse superflue che non spendiamo, potremmo utilizzarle in altri ambiti in cui abbiamo più necessità. Ogni territorio ha esigenze diverse, anche all’interno della stessa Lombardia.

Il tema fiscale è centrale nella gestione dei rapporti tra Stato e Regioni e la Lombardia è prima per quanto riguarda il gettito Irpef: come gestire al meglio questo ambito? Le risorse che da Milano vanno a Roma sono proporzionate a quelle che tornano in sede locale come servizi e finanziamenti?

Il residuo fiscale, che noi abbiamo sempre ritenuto a 54 miliardi, durante un incontro con il ministro Calderoli ci è stato comunicato che ha invece superato i 62 miliardi. Cioè, fra quello che la Regione versa a Roma e quello che viene restituito come servizi c’è una differenza di 62 miliardi. Sono più di tre finanziarie. Il residuo noi non lo tocchiamo, non vogliamo togliere risorse a nessuno. Ma chiediamo solo di spendere, nella stessa misura, direttamente i soldi previsti per una determinata funzione anziché lasciarlo fare allo Stato. Siamo convinti che saremmo capaci di rendere dei servizi migliori e di risparmiare risorse, che poi tratterremmo sul territorio. Al resto del Paese non chiederemmo neanche un euro in più.

Uno degli ambiti di confronto attuali è quello del Pnrr, più volte rimodulato dal Governo per ottenere il più possibile dalla Ue. Che ruolo giocano le Regioni in questo contesto, come si sono mosse e quale considerazione hanno avuto in termini di progetti da realizzare?

Per ora non siamo stati tenuti in considerazione. Fin dal primo momento abbiamo chiesto di essere più coinvolti: con l’impostazione che venne data dal Governo Conte in Lombardia gestiamo poco meno del 20% delle risorse che vengono destinate alla nostra regione. Di gran parte dei progetti ufficialmente non sappiamo niente, li conosciamo perché ci informiamo. E questo è un errore, anche perché vengono caricati di responsabilità molti Comuni che non hanno neanche le strutture per svolgere questi compiti. Se ci coinvolgessero saremmo pronti a dare il nostro supporto. Per quel 20% stiamo facendo tutto quello che è previsto nei tempi stabiliti. Ma sono poche cose: case e ospedali di comunità, qualcosa sull’esperimento del treno a idrogeno della Val Camonica, sull’housing sociale. Quando Conte ci chiese di predisporre una progettualità mandammo richieste per 37 miliardi per progetti di sviluppo coerenti con il Pnrr, integrandoli con le altre risorse comunitarie, senza sovrapposizioni. Purtroppo quelle proposta non è stata presa in considerazione, credo nemmeno l’abbiano letta.

L’attuale Governo ha intenzione di cambiare registro?

Mi sembra di vedere che qualcosa si stia cercando di cambiare. Chiaro che adesso è un po’ tardi. Ma era tardi anche nove mesi fa, quando l’esecutivo è entrato in funzione, i danni sono stati fatti prima, quando è stata presa la decisione di penalizzare le Regioni.

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