Si sente molto parlare in questi giorni della lett. m), II comma, dell’art. 117 Cost., che conferisce allo Stato la competenza alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. È una clausola fondamentale per organizzare al meglio la struttura portante di uno Stato come il nostro che suole definirsi sociale e che deve avere una organizzazione a livello nazionale (ma anche a livello regionale, visto che le Regioni sono anch’esse competenti in molte materie dell’area, si pensi ad esempio alla sanità) ben compaginata, capace di dare ai cittadini quello che serve a rendere efficaci i diritti, soprattutto quelli sociali.



Non a caso i costituzionalisti parlano di questa clausola come di una clausola trasversale, cioè propria dello Stato ma che incide, a volte, anche sulle strutture regionali. Un approfondimento sul tema non è agevole, anche perché, dopo oltre vent’anni dall’entrata in vigore di tale norma, essa è entrata nel nostro immaginario e viene usata, non poco strumentalmente, per fare da contraltare alle richieste di autonomia avanzate da alcune Regioni a norma dell’art. 116, III comma.



Si tratta di due percorsi da guardare in parallelo ma non necessariamente legati a doppio nodo: vi possono essere infatti delle richieste regionali che, oltre ad avere costi modesti, non interferiscono con i livelli essenziali delle prestazioni. Azzardando sul nostro tema qualche considerazione si può affermare che la clausola esprime la volontà del legislatore costituzionale di regolamentare un problema tipico degli ordinamenti compositi, cioè contemperare da un lato la necessaria uniformità con cui i cittadini devono godere dei propri diritti e, dall’altro, la altrettanto necessaria autonomia degli enti regionali nel disegnare le modalità di erogazione di tali prestazioni, esperienza che le Regioni italiane stanno facendo per esempio nell’organizzare i servizi sanitari o i servizi al lavoro.



In passato molte leggi ordinarie hanno stabilito tali livelli. I più noti sono i livelli essenziali validi in campo sanitario, cui si affiancano molte altre regole vigenti per svariati settori emanate, in verità in modo non sempre ordinato e coerente. Cosicché oggi è stata costituita attivata una Commissione ministeriale (Clep) incaricata di condurre una ricognizione di tale legislazione e di identificare, se del caso, materie in cui non vi sono regole come invece dovrebbe essere per dettato costituzionale. Si tratta di un compito complesso, necessario per definire i compiti dello Stato da un lato e quelli delle Regioni, alcune delle quali, da tempo, hanno richiesto, in attuazione della norma costituzionale dell’art. 116, III comma, Cost., di avere spazi di autonomia legislativa e amministrativa più ampi di quelli attualmente devoluti.

Dare più autonomia, infatti, comporta ad un tempo chiarire ed eventualmente rafforzare quegli strumenti che fanno da contraltare all’autonomia stessa, vale a dire gli strumenti (e i relativi finanziamenti) posti in essere a livello statale a presidio dei diritti di cittadinanza, che devono essere uniformi, e non solo sulla carta. A tal fine occorre una organizzazione efficiente nei vari settori (scuole, università, ospedali, assistenti sociali, centri per l’impiego e molto altro ancora), presidiata da personale competente e adeguatamente finanziata. In alcuni casi, infatti, la competenza a organizzare i servizi è regionale (es. sanità) mentre, in questi casi, allo Stato compete pur sempre di offrire strutture di valutazione e di coordinamento che rientrano nell’ambito dei suddetti “livelli essenziali” anche se non sono, tecnicamente parlando, “prestazioni” ma solo le condizioni perché tali prestazioni siano correttamente erogate.

La linea di demarcazione è, all’evidenza, sottile ed è per questo che talora si ricorre a princìpi, quello di leale cooperazione e di sussidiarietà, che stanno a significare la necessità di una relazione non conflittuale tra i due livelli di governo ma di reciproco sostegno. L’architettura costituzionale e legislativa, a questo scopo, esiste: può essere incompleta, a tratti inefficiente, fonte di disomogeneità nei diversi territori ma ha una sua razionalità, da comprendere sempre meglio e da attuare con sempre maggiore efficienza.

Polemiche, discussioni, rivendicazioni fanno si che l’opinione pubblica sia spesso disorientata; gli stessi studiosi, anche all’interno della Commissione Clep, manifestano dissensi su come dare realizzazione al disegno poco fa tratteggiato. Paure e incomprensioni non favoriscono un confronto sereno, non polarizzato tra chi è a favore e chi è contro. Al Meeting si vorrebbe attivare un dialogo che faccia emergere più chiaramente i problemi e che, ove possibile, prefiguri passi avanti in questo percorso.

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