Da lungo tempo si attendeva l’intervento della Corte costituzionale sulle competenze dello Stato e delle Regioni in tema di epidemia sanitaria. Ma, a seguito della sentenza n. 37/2021 con cui la Corte ha bocciato una legge della Valle d’Aosta (già sospesa in via cautelare con l’ordinanza n. 4/2021), i primi commenti si sono fermati spesso alla superficie. Qualcosa in più va detto, soprattutto sulle conseguenze che ne scaturiscono.
Innanzitutto, la sentenza conferma che l’epidemia da Covid-19 non ha fatto emergere alcun vuoto nella nostra Costituzione. Lo Stato è intervenuto in posizione di primazia rispetto alle autonomie regionali, e ciò era ed è giustificato da “ragioni logiche ancor più che giuridiche”, come ha detto la Corte costituzionale. Dunque, appaiono ingiustificate le pretese di chi, in base a quanto è appena avvenuto, vuole modificare la Costituzione sottraendo competenze alle Regioni. Insomma, non è colpa della Costituzione se nella gestione dell’emergenza, di cui lo Stato ha subito assunto la piena e diretta responsabilità, vi sono state errori e manchevolezze. È pura propaganda sostenere che cambiando la Costituzione si risolveranno i problemi sinora verificatisi nella gestione della pandemia.
Inoltre, va chiarito quale fosse l’oggetto della questione sottoposta alla Corte e, pertanto, il contenuto della sua decisione. Considerate preminenti le esigenze unitarie connesse al contrasto dell’epidemia, la Corte ha ritenuto incostituzionale la scelta compiuta dalla Regione Valle d’Aosta che, in nome della sua particolare autonomia speciale, intendeva creare un meccanismo di gestione della crisi sanitaria del tutto alternativo a quello statale.
Insomma, come detto chiaramente nella sentenza, la Corte non si è affatto pronunciata sulla legittimità costituzionale delle decine di decreti legge che il Governo ha posto alla base della disciplina emergenziale, né tanto meno sugli innumerevoli Dpcm che ne sono scaturiti. E del resto non sono pochi gli interventi della magistratura amministrativa in senso contrario a talune disposizioni adottate con i Dpcm.
Ben diversamente, spettando ovviamente al Governo la competenza di adottare decreti-legge in materia di “profilassi internazionale” – dato che questa è una materia di competenza esclusiva dello Stato – la Corte ha sostenuto che la materia della “profilassi internazionale” comprende, in buona sostanza, ogni tematica in cui sia necessario intervenire a seguito di un’epidemia dichiarata come tale da un organismo internazionale. Un’interpretazione assai originale e innovativa, e che ha pure le sue ragioni sostanziali, ma sulla quale sarà necessario riflettere attentamente, perché nega, ad esempio, la necessità di rispettare il principio di leale collaborazione con le Regioni.
È inevitabile allora che, dopo questa sentenza così netta sulle competenze legislative, il conflitto tra Stato e Regioni si sposterà sempre più sul piano dell’amministrazione. Del resto, come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale, lo Stato potrà dettare decreti-legge, Dpcm e ordinanze varie, ma rimane privo della titolarità dell’amministrazione sanitaria, e dunque è costretto ad “avvalersene”. La condivisione delle scelte, insomma, rimane inevitabile in concreto, come è chiaramente dimostrato dalla vicenda del piano vaccinale.
Ecco dunque svelato l’arcano, ecco perché si chiede di modificare la Costituzione: senza una vera e propria controriforma che accentri non soltanto la competenza legislativa, ma anche e conseguentemente la gestione dell’intero sistema sanitario in capo allo Stato, nessun potere centrale potrà decidere da solo, in beata solitudine, sugli strumenti da apprestare a difesa della salute dei cittadini. Strumenti che, come noto, richiamano appetiti e interessi non sempre commendevoli. Questa è la vera posta in palio. Sarà l’emergenza Covid a rideterminare, tra le tante cose, anche il dominus della sanità in Italia?
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