La conversione al Cristianesimo appena arrivato in Europa, secondo le autorità, potrebbe costare la vita ad un uomo che se tornasse nel suo Paese d’origine, l’Iran, rischierebbe di essere ucciso. Nonostante ciò, le autorità austriache si sono rifiutate di garantire al migrante la protezione riservata ai rifugiati. L’uomo iraniano, in risposta, ha presentato ricorso ed è servito proprio l’intervento della Corte di giustizia dell’Ue per vedere riconosciuti i propri diritti. L’autorità europea, con una sentenza, ha stabilito che all’uomo va riconosciuto lo status di rifugiato, spiega Europa Today.
I giudici europei hanno infatti affermato che la conversione religiosa può essere una valida motivazione di richiesta di protezione da parte di un migrante. Questo, ovviamente, nel caso in cui comporti effettivi rischi in caso di espulsione verso il proprio Paese d’origine. In Iran, ad esempio, chi cambia religione rifiutando l’Islam rischia la condanna a morte. Anche le autorità austriache avevano riconosciuto il rischio ma si erano limitate a dare all’uomo un diritto di soggiorno temporaneo.
La decisione della Corte di giustizia dell’Ue
Il tribunale di Vienna aveva stabilito che la conversione del migrante iraniano era sincera, e non strumentale all’ottenimento dello status di rifugiato. Il problema che si è posto, però, era di natura giuridica: per ottenere questo status, il diritto austriaco prevede che la motivazione della richiesta di protezione sia quella che ha portato il migrante a fuggire dal suo Paese. La circostanza, dunque, non poteva essere conseguente all’arrivo in Austria. Essendo avvenuta dopo l’arrivo in Europa, la conversione non era motivo valido per l’ottenimento dello status.
Le Leggi europee, però, hanno ribaltato la sentenza dell’Austria. I giudici della Corte Ue hanno smontato la sentenza viennese: lo status di rifugiato, infatti, dipende dal rischio che si corre, non da quando e dove questo rischio si è concretizzato, spiega Europa Today. Tutto ciò vale a maggior ragione se la conversione, come nel caso dell’iraniano, è sincera. Se anche l’uomo avesse mentito, però, proprio la menzogna avrebbe costituito un valido motivo per concedergli la protezione, spiegano i giudici. In Iran, infatti, avrebbero potuto punirlo per aver strumentalizzato l’Islam per fini personali.