Stefania Craxi non ci sta. La figlia di Bettino è tornata sul ricorso respinto dalla Cassazione riguardo le tasse del 1992-1993 evase all’estero per oltre 23 miliardi e mezzo di lire: gli eredi sono stati condannati e dovranno anche pagare 20 mila euro di spese legali. Intervenuta ai microfoni de Il Giornale, non ha usato troppi giri di parole: «Un obbrobrio giuridico».
«Fine pena mai per mio padre Bettino», l’accusa di Stefania Craxi, furiosa per la sentenza dei giudici: «Questa storia è grottesca non solo perché riguarda vicende di cui né io, né mio fratello, né mia madre ci siamo mai occupati, alla faccia del principio di responsabilità personale, ma anche perché siamo stati trascinati nostro malgrado in un contenzioso tributario dall’Agenzia delle entrate, che non poteva non sapere che abbiamo accettato l’eredità “con beneficio d’inventario”, cioè non siamo tenuti a pagare i debiti superiori al lascito».
STEFANIA CRAXI: “GIUSTIZIA NON PUO’ ESSERE ARMA POLITICA”
Stefania Craxi ha messo in risalto che la sua famiglia non ha ereditato nulla, se non i valori e le idee del padre Bettino, ricordando che le è stato già portato via quel poco che aveva lasciato. L’ex senatrice di Forza Italia non ha escluso che la figura del padre faccia ancora paura, senza dimenticare la lunghezza di questa vicenda giudiziaria: «È un’ingiustizia nell’ingiustizia, figlia dei primi processi-farsa che io contesto. Condannano noi a pagare per un finanziamento illecito, ma abbiamo ereditato il partito? Lui era segretario del partito, ma non ho visto stesso trattamento per altri segretari, da quelli di Dc e Pci fino a quello della Lega». Stefania Craxi si è poi soffermata sui dibattiti delle ultime settimane in tema di giustizia, sottolineando che la riforma Cartabia non affronta i nodi che sono nei quesiti referendari, da lei sostenuti convintamente: «Non aver messo mano alla riforma della giustizia è il più grande fallimento della Seconda Repubblica. A 20 anni di distanza ci si è accorti che la giustizia deve tornare ad avere il suo ruolo di servizio a tutela del cittadino e non certo di arma politica».