A otto anni dalla prima zampata nel mondo inflazionato delle sette note con “Momentaneamente Assente”, l’architetto-musicista Stefano Ardenghi sembra infrangere quel silenzio ironicamente annunciato con quello stesso suo unico disco, chiamando il sequel “La Consapevolezza” e infilando una punta di humour nel dare alla quasi title track un titolo come “La consapevolezza della fine”.  Al di là della gag che gioca sul lasso di tempo intercorrente tra un inizio che preannuncia un’assenza e un ritorno col presentimento di una fine, questo bel disco riprende per mano l’ideale della ricerca della canzone pop proveniente da metodi di allevamento selezionati, quella curata, all’insegna della pulizia sonora e dell’attenzione al dettaglio come elemento cardine di una scrittura in grado di unire la ricerca melodica a quella del vero se stesso nel quotidiano di vita e relazioni.



Sullo sfondo il buon vecchio approccio sempre teso a tirar fuori il meglio dalla melodia e dalle sue rotondità, incrociando i punti di forza del funk ricercato degli Steely Dan con il talento poliedrico di Battisti e la cantabilità leggera e fragrante dei cantautori pop dei profondi ‘90.   Riferimenti tutti citati dallo stesso artista che fanno della canzone introduttiva che dà il titolo al disco, un ipotetico classico radiofonico d’annata che riassume lo spirito di più decadi, con suoni vivaci e ficcanti e una voce piena e confidenziale nel senso migliore del termine.



Questi e altri riferimenti svelati e non, convivono nella non meno effervescente Da consumarsi preferibilmente entro dove nella vivacità ammiccante tipica di un Raf d’annata, fa capolino anche la tempra generazionale di uno Zampaglione.  Un altro me rigioca il tutto in modo più lineare mentre La fine del mondo riporta alla luce quel modo unico di unire disimpegno e piccola ballata dei sentimenti quotidiani del Britti di Una su un milione.  Poi ci sono iniezioni funky che viaggiano sulle coordinate di una punteggiatura marcata, come è dato sentire nei fiati contagiosi de L’occhio.



La sincera e corposa melodia di Restare indifferenti aggiunge l’immancabile pizzico di riflessione e malinconia nelle tessere che vanno a comporre l’ascolto del disco pop che si rispetti.

La piacevolezza ordinata e quasi attendista di E’ stata estate, prelude a un’altra melodia dai tenui riflessi folkie come Non si guarda indietro mai, che è a sua volta ideale per introdurre il secondo momento melanconico della scaletta, una dolceamara La mediocrità che gioca nel refrain la più classica delle esclamazioni piene di rimpianto, invertendo definitivamente l’umore frizzante della prima parte.

Non potrebbe esserci un preludio migliore alla dichiarazione finale di Forse non basta più, pezzo di bravura nel suo concepirsi e svilupparsi come omaggio cifrato al Togni delle larghe riflessioni a suon di tenerezza adulta.  Un bel modo di rendere ragione del permanere di un inizio di coscienza matura di sé e delle cose nel mondo di oggi.