La giustizia italiana fa mea culpa con Stefano Binda, destinatario di un risarcimento per ingiusta detenzione pari a 303mila euro per essere stato in carcere con l’accusa di essere l’autore dell’omicidio di Lidia Macchi. Finito a processo come unico imputato del delitto, trascorsi 3 anni e mezzo in cella, è stato assolto con formula piena e oggi, ai microfoni della trasmissione Iceberg su Telelombardia, ribadisce la sua innocenza e sottolinea come ha vissuto l’esperienza della carcerazione. A stabilire che Stefano Binda deve essere risarcito dopo il caso Lidia Macchi è stata la quinta Corte d’appello di Milano, spiega Ansa, in accoglimento dell’istanza di riparazione a favore del 53enne la cui vicenda giudiziaria si è conclusa in via definitiva nel gennaio 2021.
Binda, accusato di aver ucciso la studentessa Lidia Macchi – il cui cadavere venne ritrovato in un bosco a Cittiglio (Varese) – con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987, ha trascorso 1286 giorni dietro le sbarre, tra il 2016 e il 2019, e per questo, riconosciutagli l’ingiusta detenzione, i giudici hanno accordato un “indennizzo” seppur inferiore rispetto alla sua richiesta (oltre 350mila euro). Il caso di Lidia Macchi è tuttora irrisolto: per l’assassinio della giovane, massacrata a 20 anni, non c’è ancora un colpevole. Nel 2018, il primo grado di giudizio a carico di Stefano Binda, a Varese, si era chiuso con una condanna all’ergastolo, poi prosciolto dalla Corte d’Assise d’appello di Milano e infine assolto in Cassazione. L’inchiesta sulla morte di Lidia Macchi, avocata dalla Procura generale del capoluogo lombardo, lo aveva condotto in cella nel gennaio 2016. L’assoluzione in secondo grado lo aveva visto tornare in libertà nel 2019, esito confermato in via definitiva due anni più tardi.
Stefano Binda risarcito per ingiusta detenzione: “Mio processo indiziario su morte Lidia Macchi”
Intervenuto ai microfoni di Iceberg, trasmissione condotta da Marco Oliva su Telelombardia, Stefano Binda ha parlato dei 3 anni e mezzo trascorsi in carcere da innocente perché accusato di aver ucciso Lidia Macchi e dell’esito della sua istanza di risarcimento recentemente accolta dalla Corte d’appello milanese. “È stato montato un processo indiziario a mio carico, ne è risultato un processo di prove positive a mio favore e, malgrado questo, ho preso l’ergastolo a Varese. Ma soprattutto, di queste prove positive a mio favore 3 su 4 erano già a conoscenza, non sono emerse dal processo”.
Stefano Binda ha proseguito spiegando l’evoluzione dell’iter giudiziario che lo ha portato all’assoluzione definitiva: “Di fronte a un alibi confermato da un testimone da subito, il Dna sulla busta (della lettera anonima inviata alla famiglia della vittima, ndr) non era mio, di fronte a queste cose si è deciso di far prevalere, persino ai fini di togliermi la libertà, le suggestioni. Il giudice mi ha assolto demolendo l’impianto indiziario”. La vita di Stefano Binda oggi è molto cambiata, come ha raccontato alla trasmissione su Telelombardia: “Le cose che per me adesso sono importanti riguardano l’aiuto che do a qualche realtà molto importante, la mia unità pastorale innanzitutto, il volontariato in ambito sociale… Ancora non ho ricevuto un euro del risarcimento”. A Stefano Binda è stato riconosciuto un indennizzo per l’ingiusta detenzione sul caso Lidia Macchi pari a circa 235 euro per ogni giorno trascorso dietro le sbarre. L’identità dell’assassino resta ancora un mistero.