Stefano Conti, da 12 mesi si trova rinchiuso nel carcere di massima sicurezza La Joya di Panama, uno tra i più duri del mondo, ed è in attesa di processo con l’accusa di sfruttamento delle tratta di persone a scopi sessuali. Rintracciato telefonicamente dal quotidiano Libero, anche grazie all’alto livello di corruzione delle guardie, ha rilasciato un’intervista nella quale si dichiara innocente e denuncia il grave stato di degrado e pericolosità del penitenziario nel quale si trova affermando di rischiare la vita tutti i giorni.
Tra sporcizia, topi, scarafaggi, igiene completamente inesistente e soprattutto risse, armi e omicidi tra detenuti e polizia, il trader 38enne racconta di vivere un vero e proprio inferno, “vivo in uno stanzone unico, sarà 60 metri quadrati o più. Siamo in 26 e ognuno separa la propria area, che noi chiamiamo bunker, con un lenzuolo per avere più privacy.” E prosegue “Non vedo il sole da mesi. E convivo con scarafaggi, topi, insetti, sanguisughe“, e per quanto riguarda il cibo “passano riso non setacciato e pieno di sassi, c’è pochissima acqua per bere e lavarsi. È disponibile solo per un’ora al giorno e facciamo rifornimenti con i secchi. Quando finisce, usiamo bustine di thé diluite con la pioggia“.
Stefano Conti dal carcere di Panama “chiedo intervento dell’ambasciata italiana”
Stefano Conti era a Panama per svolgere la professione di trader, ma a quanto racconta è in carcere perchè è stato incastrato dalla sua passione per le belle donne, visto che in zona la prostituzione è legale ed è pieno di bordelli dice “avevo disponibilità economiche emi accompagnavo con ragazze a pagamento ogni giorno, anche due volte al giorno“, poi “Ho prestato soldi a una ragazza che si è dichiarata escort e ho aiutato due tizi colombiani ad affittare appartamenti pensando che sub-affittassero le camere solo per guadagnarsi da vivere. Non sapevo che ospitavano prostitute e ci facevano un business“.
Ai suoi complici però sono stati garantiti gli arresti domiciliari, mentre a lui è stato respinto il ricorso per il ritorno in Italia, ora quindi non gli resta che fare appello alle istituzioni come afferma “Chiedo che intervenga l’Ambasciata italiana, almeno per essere spostato in un’altra prigione più umana, in cui si possa vivere in condizioni accettabili“.