La trasmissione Un Giorno in Pretura dedicherà anche la puntata di questa sera, domenica 24 novembre, al processo per la morte di Stefano Cucchi. Il secondo e ultimo appuntamento sul caso prende il titolo di “Stefano Cucchi: la linea dell’arma” e si concentrerà, nel dettaglio sul processo che vede imputati alcuni autorevoli esponenti dei Carabinieri accusati di aver cercato di nascondere la verità. Una verità certamente ingombrante e che celava i pestaggi a scapito del giovane geometra 31enne romano il quale, dopo l’arresto per droga avvenuto il 15 ottobre 2009 fu brutalmente picchiato nella stazione Casilina dove era stato condotto per le operazioni di fotosegnalamento. Trascorsero ben 10 anni prima che in aula venissero portati i depistaggi e tutte le falsità emerse nel corso dell’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi. Lo scorso 12 novembre si è aperto ufficialmente il processo sui presunti depistaggi che sarebbero seguiti alla morte del 31enne. L’inizio del processo è culminato nella settimana decisiva per la famiglia di Stefano, in quanto due giorni dopo, il 14 novembre, si sono celebrate due importanti sentenze: quella del processo bis sulla morte di Cucchi – con la condanna a 12 anni per due carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale – e l’Appello a carico di 5 medici del Pertini, dove il 31enne morì sette giorni dopo il suo arresto.
STEFANO CUCCHI, PROCESSO SUI DEPISTAGGI
Ma c’è ancora un’altra grande parentesi legata alla morte di Stefano Cucchi, ed è proprio quella che ha a che fare con i depistaggi, che secondo il pm Giovanni Musarò “hanno toccato picchi da film dell’orrore”, come riporta AdnKronos. Sono in tutto otto i Carabinieri imputati nel processo tra cui il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma e Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma. I militari sono accusati a vario titolo di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. L’inchiesta del pm Musarò ruota attorno alle annotazioni redatte da due piantoni dopo la morte di Cucchi e modificate al fine di far sparire ogni riferimento ai dolori che il geometra avrebbe lamentato la notte dell’arresto, dopo essere stato vittima di un pestaggio nella stazione dei carabinieri. Tuttavia, il processo contro gli otto militari si è aperto con un clamoroso colpo di scena in quanto subito in apertura di udienza il giudice monocratico Federico Bona Galvagno si è astenuto giustificandosi e spiegando di essere un ex carabiniere attualmente in congedo. Un’astensione che, come rammenta Repubblica, è giunta dopo la richiesta sollevata dalla famiglia di Stefano Cucchi che, stando a quanto emerso da alcune fonti, aveva saputo del suo passato nell’Arma. L’udienza è stata così rinviata al prossimo 16 dicembre, quando sarà presente un nuovo giudice, Giulia Cavallone che avrà il compito di esprimersi sugli otto carabinieri nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio.
LE CONDANNE A CARICO DEI CARABINIERI
Gli uomini dell’Arma erano già entrati nel processo sulla morte di Stefano Cucchi, precisamente in quello che si è concluso la scorsa settimana. Si è trattato del processo principale sulla morte del 31enne romano nato dall’inchiesta su cinque carabinieri. Il pm aveva chiesto di condannare Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a 18 anni di reclusione per l’accusa di omicidio preterintenzionale. Al tempo stesso aveva chiesto l’assoluzione dalla stessa accusa “per non aver commesso il fatto” per il militare dell’Arma Francesco Tedesco. Al termine del processo i giudici della I Corte d’Assise del Tribunale di Roma hanno condannato i primi due militari a 12 anni di reclusione e assolto Tedesco, l’imputato-teste che aveva svelato il pestaggio subito da Cucchi accusando i suoi due colleghi. “Sono molto soddisfatto. E’ finito un incubo”, aveva commentato dopo la sentenza, come riferisce Tgcom24. Per Tedesco il aveva chiesto la condanna a 3 anni e mezzo per l’accusa di falso, poi ridotta dai giudici a 2 anni e mezzo. Per la stessa accusa è stato condannato anche maresciallo Roberto Mandolini (all’epoca dei fatti comandante interinale della Stazione Appia). Assolti, infine, Vincenzo Nicolardi e Tedesco e Mandolini dall’accusa di calunnia.