Un festival al femminile, le proiezioni online ma non solo: Stefano Francia di Celle ha le idee chiare sul suo Torino Film Festival. Il manager culturale è stato nominato nuovo direttore del TFF, erede di Emanuela Martini, e si appresta a fare il suo esordio in un’edizione segnata dall’emergenza coronavirus. Reduce dalla collaborazione con il Festival di Venezia per la sezione Classici, Francia di Celle ha già annunciato le prime novità in vista della 38° edizione della kermesse torinese – in programma dal 20 al 28 novembre 2020 – anche se non sono da escludere ulteriori cambiamenti nel corso delle prossime settimane. «Vogliamo essere anche un aiuto per produttori, distributori e registi che stanno soffrendo moltissimo», assicura il neo direttore del Torino Film Festival, mettendo in risalto che una delle priorità è il rispetto del protocollo sulla parità di genere. Ecco la nostra intervista con Stefano Francia di Celle.
Da Venezia Classici a una macchina organizzativa come il Torino Film Festival, una sfida avvincente soprattutto in epoca coronavirus…
A parte il coronavirus, per me è un’avventura bellissima poter sperimentare tutte le modalità lavorative “innovative”. Conoscendo molto bene la macchina dei festival e avendo lavorato in vari ruoli in questi anni a partire dal TFF, sto sperimentando modalità nuove di creare una squadra efficiente attorno alla manifestazione cinematografica di Torino, sempre con cautela e con grande condivisione delle idee con il Museo del cinema. È una manifestazione che ha molte anime: c’è il concorso internazionale dei lungometraggi, c’è la sezione competitiva dei documentari italiani e internazionali, c’è la sezione competitiva dei cortometraggi italiani e da quest’anno ritorno anche i cortometraggi internazionali. Tutte sezioni competitive, ognuna ha la sua fisionomia ed il suo gruppo di lavoro dedicato: mi piace molto fare in modo che questi gruppi siano in contatto tra di loro. Non voglio un Festival che offra dei contenuti alternativi e in concorrenza tra di loro: vorrei creare un’esperienza accogliente per tutti quelli che conoscono bene il cinema, che lo seguono nelle sue evoluzioni più moderne e che apprezzano il cinema del passato. Quello che mi preme fare è creare un’armonia tra tutti gli elementi, non sovrapporsi ma dare un’immagine unitaria: il Festival ha come unica missione quella di promuovere la cultura cinematografica e deve farlo declinandolo per pubblici diversi con esigenze diverse. Per quanto riguarda l’emergenza coronavirus, c’è un’evoluzione ulteriore di questo concetto di squadra: vogliamo essere anche un aiuto per produttori, distributori e registi che stanno soffrendo moltissimo. Fondamentalmente come Festival siamo in difficoltà per ragioni di sicurezza e budget, ma il TFF sarà a fine novembre e abbiamo la possibilità di immaginare delle proiezioni in sala oltre al progetto sul web. Abbiamo approfittato di questo periodo per accelerare da quel punto di vista: il progetto digitale verrà presentato presumibilmente già a luglio, così da fornire informazioni chiare ai produttori ed al pubblico. Ma questo progetto l’avevamo già concepito per gli anni futuri, così da fornire una sala in più al Festival.
Il Torino Film Festival ha sempre registrato grandi presenze tra i giovani…
Credo che la funzione primaria del nostro Festival sia quella di offrire ai giovani una visione internazionale di tutto il cinema che si fa in questo momento, andando poi a potenziare l’interesse per il cinema visto in sala che speriamo possa essere vivo tutto l’anno, così da aiutare il sistema distributivo. Il Festival del 2020 partirà dalle origini, rafforzando il concorso internazionale – fatto di opere prime e seconde – ma ci sarà tanto anche sui cortometraggi: riteniamo che il corto sia la base di tutte le esperienze professionali del cinema. Il concorso internazionale sarà un momento importante, non c’era da molti anni, e in questa sezione competitiva ci sarà un premio di Rai Cinema Channel: così già da subito ci sarà un innesco con le possibilità produttive più importante, un aggancio con l’industria cinematografica italiana. I 12 corti saranno programmati insieme ai 12 lungometraggi: questo mi sembra un buonissimo modo per valorizzarli, non confinandoli in un programma a parte. Creeremo ovviamente degli abbinamenti interessanti….
Quindi il numero di film in concorso resterà limitato rispetto ad altri festival come Cannes e Venezia…
Io penso che dobbiamo limitare i numeri, dobbiamo dare la possibilità agli addetti ai lavori ed al pubblico di potersi impossessare del Festival: se metto un numero alto di film in concorso, sono certo che la persona che viene a Torino non riesce a vedere tutti i film. Anche per quanto riguarda il meccanismo delle premiazioni, ci sarebbe il rischio di mancanza di interesse sulle scelte della giuria. Se poi mettiamo che nello stesso festival ci sono due concorsi, poi le sezioni non competitive, il fuori concorso… I titoli non saranno pochi, considerando che ci sarà anche la sezione “Back to Life”: è una sezione con restauri digitali, ma non è una sezione di classici che ritornano in copie meravigliose. È una sezione di film dimenticati, malamente distribuiti o che non erano usciti per motivazioni particolari che racconteremo durante il Torino Film Festival. Tra l’altro ridurre i film porta a fare delle scelte più difficili e ce ne stiamo rendendo conto con il comitato di selezione: siamo molto timorosi nel giudicare i film adesso, perché sappiamo che abbiamo questi numeri che non vogliamo superare in alcun modo. Io ho due sfide sul programma: riuscire a fare una selezione incisiva con film che lasciano il segno e rispettare i criteri di uguaglianza di genere. Voglio applicare il protocollo sulla parità di genere fino in fondo e non solo di facciata: normalmente poi i festival non sono così rigorosi nell’avere il 50% di opere fatte da donne ed il 50% di opere fatte da uomini. Secondo me anche perché non viene fatto un lavoro di ricerca per il cinema delle donne, che invece noi abbiamo iniziato a fare: guarda caso, i film che per il momento ci hanno più colpito sono fatti da donne, spesso da registe che sono anche produttrici. Diciamo che per il momento non ho il problema di dover farei conti con pochi film belli fatti da donne. È una sfida appassionate. Un’altra scelta che ho fatto è di avere una giuria tutta di donne: è una piccola provocazione per risarcire il fatto che spesso nelle giurie ci sono soprattutto uomini. Vedremo come andrà. Ho anche una vice direttrice fantastica come Fedra Fateh, che si sta occupando di questo tema dell’uguaglianza di genere a livello internazionale. Tutto questo progetto del cinema femminile lo sto costruendo con lei. Anche se secondo me è proprio bello che il cinema femminile non sia un argomento solo delle donne ma di tutti noi insieme: che ci sia un maschilismo ancora esistente nella nostra società è evidente, anche solo nell’accesso alla produzione dei film.
Una delle novità del Torino Film Festival sarà il programma itinerante, il modello è quello della Berlinale?
Il modello è assolutamente quello della Berlinale, funziona benissimo ed anche loro non lo fanno da tantissimi anni. Io ci tengo tantissimo a farlo, la ritengo una delle curiosità di questo anno anche a causa del Covid ed abbiamo necessità di avere più sale, approfitteremo di questa circostanza per sperimentare. Vogliamo farlo con un dialogo molto forte con le associazioni e con gli operatori del settore. Stiamo aspettando che la situazione delle sale italiane si normalizzi per iniziare un dialogo forte che vada in quella direzione. Una multisala potrebbe mettere a disposizione una sala per il Torino Film Festival, con le altre sale a disposizione delle prime visioni. L’idea è che nell’autunno di ripresa tutti i quartieri di Torino possano avere un contributo e la città si presta molto bene a questo progetto. Mi fa molto che il Museo del Cinema, soprattutto con il presidente Ghigo che sta guidando in maniera magnifica la macchina, abbia subito visto in questa ipotesi una grande possibilità del Torino Film Festival.
Quali obiettivi si è posto?
Il primo obiettivo è “interno”: mi sento molto responsabile della creazione di un gruppo di lavoro, vorrei riuscire a ottimizzare tutte le professionalità che ci sono nel Festival. Il secondo obiettivo è far sì che il Festival sia più vicino ai torinesi, ovvero che non sia solo amato dai cinefili più appassionati ma che sia un Festival più “simpatico”, che non sia visto come un momento snob: a volte il cinema d’autore può essere visto come un momento troppo autoreferenziale. La riduzione del numero dei film è utile da questo punto di vista: voglio fare i film che amo, ma per spiegarli e farli apprezzare è necessario del tempo. Preferisco fare incontri più lunghi in sala piuttosto che mettere troppi film. Voglio una manifestazione più popolare in una città piena di cultura e di passione come Torino. Il terzo obiettivo è portare delle persone in gamba – attori, attrici, registi e sceneggiatori – voglio ampliare l’interesse del Festival per chi viene da fuori al fine favorire uno scambio vero: nessun tappeto rosso, ma un’occasione di incontro e di condivisione. In un anno come questo segnato dal Covid-19, credo che questo desiderio debba essere portato fino in fondo. Il Festival può segnare una sorta di punto su tutto quello che è successo nell’anno, da fine febbraio ad ottobre, sia in termini di dramma sociale sia in termini di creatività e di rinascita.
(Carmine Massimo Balsamo)