L’imprenditore Stefano Ricucci si racconta in una lunga intervista a Le Verità in cui parla dei suoi guai con la giustizia e passando alla sua sfera privata. “Non sono un bancarottiere!”, esordisce così Ricucci, ex di Anna Falchi, sventolando al giornalista Francesco Bonazzi le prove che testimoniano il pagamento di tutti i creditori della sua holding, Magiste International. A sua detta, avrebbe speso 700 milioni, di cui 119 solo all’Agenzia delle Entrate. Un calvario giudiziario lungo e doloroso, quello affrontato da Ricucci, accusato non solo di reati tributari ma anche di aver usato fatture per operazioni inesistenti e per presunta corruzione in atti giudiziari. Dopo oltre dieci anni, dunque, Ricucci decide di raccontarsi nuovamente in una intervista ripercorrendo i 13 anni di processi sui quali penderebbe, a suo dire, una sola macchia, ovvero “Un patteggiamento per aggiotaggio su Rcs” che “col senno di poi ho sbagliato ad accettare”. Insiste l’immobiliarista romano nel ribadire di non essere mai stato un bancarottiere: “Non ho fatto nessuna bancarotta e non ho fregato i soldi di nessuno”, dice, dopo la piena assoluzione del 2 gennaio dello scorso anno perchè “il fatto non sussiste”. Nessun creditore, investitore, dipendente e neppure lo Stato, spiega, può dire oggi di vantare un credito da lui. E nonostante abbia “crediti fiscali per circa 30 milioni di euro” e il Gruppo Magiste sia in bonis, “se chiedo a una banca italiana di aprirmi un conto, non me lo aprono. Dicono che la compliance non glielo consente, per la mia reputazione”.
STEFANO RICUCCI, IL SUO CALVARIO GIUDIZIARIO
La sola condanna a carico di Ricucci risale al 2006 per la tentata scalata Rcs per la quale fu arrestato. Oggi l’imprenditore commenta: “Avevo 37 anni, non avevo protezioni, venivo da una famiglia con papà operaio e mamma casalinga, e mi sono trovato in un gioco più grande di me, dove mi hanno stritolato. Per uscire dal carcere, alla fine ho detto quello che volevano e ho patteggiato. Oggi posso dir che fu un errore tremendo”. Poi punta il dito contro la giustizia, asserendo di avere un “personal pm”. Ricucci ha spiegato di essere stato arrestato per tre volte, nel 2006 appunto, dieci anni dopo e nel 2018. “Il pm che chiede e ottiene gli arresti è sempre lo stesso. Le sembra normale? Ma aspetti, perché anche il gip, per due volte, è lo stesso”, ha ammesso, così come lo stesso è stato il giudice del Riesame nella doppia inchiesta di presunte fatture false e presunta corruzione di un magistrato. Per il pm, Ricucci avrebbe corrotto un giudice del Consiglio di Stato, Nicola Russo, che però lui ha ammesso di non conoscere, circostanza che ribadisce ancora oggi.
I DANNI E LA SUA VITA PRIVATA
La doppia inchiesta 2016-2018 a Stefano Ricucci è costata cara: “Una paralisi imprenditoriale totale, perché anche con obbligo di firma tre volte a settimana per sei mesi, uno non fa niente”, dice. Lui si considera al pari del semplice cittadino, schiacciato dal pm molto più forte di lui. “Ti fermano la vita, ti bloccano l’azienda, la famiglia, le fidanzate, la moglie”, dice. Ed a proposito della sua vita privata, oggi la sua famiglia si compone della mamma Gina, anziana 82enne, “viene con me ai processi ed è stata perquisita alle 5 di mattina da 10 persone perché chissà quali reati commetteva con un telefonino che a stento sa usare”. Il padre Matteo, “morto cinque anni fa di crepacuore per colpa di questa odissea giudiziaria”, ed il figlio 26enne, Edoardo, che ha studiato e ora lavora all’estero. La sua vita attuale non gli consente di avere una fidanzata alla quale dedicare le giuste attenzioni. Ma certamente l’intera vicenda ha avuto danni collaterali enormi, nonché grandi perdite economiche: “A occhio non meno di 40 milioni fra spese legali e spese di giustizia, ma la vita non me la risarcisce nessuno. E mi sono perso la crescita di mio figlio nel periodo adolescenziale”, ha chiosato.