Intervenendo al “Future of the Car Summit” organizzato dal Financial Times, l’amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares non ha usato mezzi termini: “L’auto elettrica è ancora troppo costosa ed è stata imposta dall’alto”. Le parole del manager portoghese, che si aggiungono a quelle di Toyoda di qualche mese fa – “l’auto elettrica è sopravvalutata e non è sostenibile” -, hanno un loro peso ma tuttavia nascondono un significato implicito.



Anzitutto, la transizione all’auto elettrica è un percorso irreversibile. Piani e investimenti delle case automobilistiche sono tali per cui tornare indietro avrebbe dei costi ingenti e, anche, difficilmente calcolabili. Non dimentichiamoci che negli anni della crisi economica, il Governo francese sosteneva l’industria dell’auto – entrando negli assetti societari di Renault e PSA – a condizione che le case produttrici investissero una parte della fresca liquidità nello sviluppo dell’auto elettrica.



Ma veniamo ai giorni nostri: oggi la e-car è troppo costosa? Senza dubbio lo è, per almeno tre ragioni. In primis, nonostante la crescita del mercato nel 2020 (+107% Ue, +251,5% Italia), i volumi di vendita sono ancora ridotti; in secondo luogo, in questo momento gli incentivi sono previsti anche per l’auto tradizionale, in quanto la contrazione del mercato (-24,3% di immatricolazioni in Ue, -27,9% Italia, sempre 2020) ha lasciato un invenduto nei concessionari che va al più presto alleggerito; in ultima analisi, vi è la spinta dei produttori che non corrisponde a quella dei Governi: è vero che il programma Green Deal prevede 3 milioni di colonnine installate entro il 2030 in tutta Europa, ma, secondo Acea, al momento sono circa 185 mila.



Per quanto riguarda il nostro Paese, la rete di ricarica consta di 8 mila stazioni: entro il 2030, l’ultimo aggiornamento del Piano Nazionale Energia e Clima (2020) ha stimato che la rete di ricarica passerà a 45 mila stazioni e il parco circolante raggiungerà un ventaglio compreso tra i 4 e i 6 milioni di auto elettriche.

È chiaro che la debolezza della rete infrastrutturale generi incertezza anche nel consumatore. Ed è altrettanto evidente che, fino a quando permane questa situazione, la transizione verso l’auto elettrica rischia di fermarsi a fabbriche e concessionari. A ogni modo, questa è la situazione a oggi. Ed è ciò che Tavares invita a superare onde evitare di vanificare lo sforzo tecnologico e di investimento delle case automobilistiche.

D’altra parte, benché la transizione all’elettrico sia il cuore del Green Deal europeo, c’è naturalmente un po’ di cautela da parte di Commissione europea e Governi nazionali in quanto la transizione all’elettrico comporterà alti livelli di flussi occupazionali in uscita dall’industria dell’auto: il motore elettrico, infatti, è più piccolo della metà rispetto al motore a combustione e occorrono molti meno componenti per realizzarlo. Secondo uno studio dell’Istituto IFO (Monaco di Baviera) commissionato da VDA, l’associazione che raggruppa i produttori automobilistici tedeschi, nei prossimi 5 anni vi sarebbero 178.000 posizioni minacciate dalla transizione elettrica tra i 613 mila dipendenti delle case automobilistiche e dei loro fornitori; tra questi ci sono 75.000 persone che andranno in pensione mentre oltre 100.000 dovranno acquisire nuove competenze altrimenti rischieranno la disoccupazione. Non a caso, in un’intervista sempre al FT, il ceo di Daimler Ola Källenius ha ammonito sulla difficoltà di gestire questa transizione in termini occupazionali: lavoro e ambiente, in sintesi, non devono contrapporsi.

Tuttavia, mobilità elettrica significa anche infrastrutture e batterie. Da questo punto di vista, l’installazione delle colonnine per l’alimentazione e lo sviluppo dell’industria delle batterie sono occasione di riconversione e di ricollocazione dei flussi occupazionali in uscita dal settore dell’automotive. Per quanto riguarda le batterie, è questo al momento un mercato dominato dalla Cina. Australia e Usa fanno la loro parte, ma sono molto indietro. L’Europa si sta organizzando: è naturalmente auspicabile che sia più veloce di quanto sta facendo per produrre i vaccini.

Twitter: @sabella_thinkin

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