Il Presidente di Stellantis John Elkann ieri era Roma per una serie di incontri istituzionali che includevano, tra gli altri, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Elkann ha incontrato anche l’Ambasciatore Usa Jack Markel, e il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta. Gli incontri hanno con ogni probabilità toccato anche il tema delle attività italiane del gruppo Stellantis.
Questa è solo l’ultima puntata di una vicenda partita con la provocazione dell’ad del gruppo auto Tavares al Governo italiano, che per salvare gli impianti dovrebbe aumentare gli incentivi, e continuata con l’ipotesi di fusione con Renault. Forse ieri si è parlato anche dell’ultima ipotesi circolata secondo cui si starebbe lavorando per spostare il marchio Maserati da Stellantis in Ferrari per rafforzare o creare un “polo del lusso”. Questa ipotesi era stata contemplata anche da Sergio Marchionne e ha quindi una sostanza che in qualche modo prescinde dalla stretta attualità. Dal punto di vista borsistico sarebbe una sfida per Ferrari che viaggia a multipli quasi tripli rispetto a società simili a Maserati come, per esempio, Porsche. Il rischio, da questo punto di vista, sarebbe quello di rompere la magia di una società, Ferrari, che si può presentare come lusso “assoluto”.
Dal punto di vista del sistema industriale italiano, l’operazione di conferimento di Maserati in Ferrari, invece, avrebbe un impatto molto più mediatico che reale. I titoli sul “campione del made in Italy” si sprecherebbero esattamente come si sono sprecati, qualche anno fa i titoli sul campione dell’automotive con l’anima italiana. Maserati e i suoi fornitori però non possono neanche lontanamente sostituire i volumi di un costruttore auto che occupa la fascia media. Non è un’operazione finanziaria di questo tipo che può risolvere i problemi del sistema Paese italiano in cui il settore auto occupa, fortunatamente, ancora un ruolo decisivo.
In assenza di una presa forte sul gruppo Stellantis, che è nell’orbita francese, il problema è quale sono le leve per tenere in Italia la presenza industriale del gruppo che sembra avviarsi verso un graduale smantellamento. La posizione di Roma è debole in un mondo diventato molto più competitivo. Per l’Italia, con i suoi costi energetici, burocratici e con le sue tasse, è difficile trattenere la capacità produttiva “gratis”. Se fosse così facile il Governo francese non comparirebbe nell’azionariato dei due gruppi con quote del 15%, nel caso di Renault, e del 6% nel caso di Stellantis.
La posizione negoziale dell’Italia è debole e questo è il punto di partenza di qualsiasi trattativa.
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