I risultati del secondo trimestre di Stellantis, comunicati ieri, sono stati molto buoni e superiori alle attese degli analisti e il gruppo ha potuto alzare gli obiettivi di redditività per l’anno considerevolmente. Senza voler nulla togliere al gruppo guidato da Tavares si può notare un trend simile in tutti i gruppi auto globali. Il confronto con quanto successo nel 2019, levando gli effetti che la pandemia ha avuto nel primo semestre dell’anno scorso, aiuta a comprendere quali siano i fenomeni in atto nell’industria auto. 



Il numero di vetture vendute è inferiore a quello del 2019 anche di oltre il 20%, a seconda dei mercati, ma i prezzi, in compenso, sono molto migliori. Essendo la produzione di auto un business di costi fissi e competizione serrata nella maggioranza dei segmenti, i prezzi valgono molto più dei volumi; meglio vendere qualche auto in meno ma avere ottimi prezzi. 



La domanda di auto dopo essere stata compressa da molti mesi di lockdown e restrizioni ha trovato un’offerta limitata dalla mancanza di chip e da altri limiti alla produzione. I produttori auto, quindi, hanno potuto tenere su i prezzi, limitando o annullando gli sconti che di solito venivano offerti ai clienti, e hanno migliorato il mix di vendita con auto di segmenti superiori o più “accessori”. La prova provata di questo trend è l’incremento dei prezzi dei noleggi auto sia in Europa che in America. Le vendite legate alle flotte aziendali o ai noleggi sono storicamente quelle con i più bassi margini per i produttori auto, in alcune fasi sono state forse a margini negativi; dato che la domanda di auto “normale” dalla clientela retail è buona e l’offerta fa persino fatica ad accontentarla, le flotte aziendali e le società di noleggio sono rimaste in coda. I prezzi dei noleggi sono due o tre volte superiori rispetto al 2019 e rimarranno alti fino a che la produzione di auto sarà “ostacolata” dalla mancanza di chip e da altri fattori negativi.



Qualsiasi cosa sia successa alla produzione il risultato è un pieno di utili per i produttori di auto che hanno potuto contare su prezzi sensibilmente migliori. Il fenomeno si è esteso per osmosi anche al mercato delle auto usate con punte impensabili che hanno visto alcuni consumatori, specialmente negli Stati Uniti, rivendere nel 2021 l’auto usata comprata nel 2020 con un profitto. 

L’interrogativo a questo punto è quanto possa durare questa fase. La domanda compressa nel 2020 si normalizzerà, i prezzi alti renderanno difficile l’acquisto a molti consumatori mentre il mercato del lavoro fatica sia in termini di occupati che di adeguamenti salariali. Il meccanismo che si innesta con unità vendute inferiori e prezzi superiori è molto favorevole fino a un certo punto, ma poi comincia a incepparsi e bisogna rivedere ferocemente la capacità produttiva. Il prezzo delle auto elettriche sale, ed era già molto più alto delle auto tradizionali, perché sono saliti enormemente i prezzi delle materie prime con cui si costruiscono le batterie. I benefici ambientali, per la cronaca, sono oggetto di discussioni sulle pagine dei principali organi di informazione internazionale come, per esempio, il Financial Times. 

Se il trend dovesse continuare l’acquisto di un’auto diventerebbe meno frequente sia in termini di tempi di sostituzione di una vettura, sia in termini di diffusione tra il pubblico; le conseguenze sui produttori auto sarebbero tutte da vedere. Potrebbero teoricamente tornare indietro, ma ci sarebbe come minimo una certa ritrosia e la ragione è facilmente rintracciabile nei risultati comunicati nelle ultime settimane: margini alti e tanti utili. L’auto elettrica, per la cronaca, rafforza il fenomeno. Molti andranno in bici e qualcuno o molti di meno si potranno permettere l’auto? È uno dei possibili scenari. 

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