L’ipotesi circolata sui media durante il weekend su un’imminente fusione tra Stellantis e Renault sembra essere tramontata dopo la smentita di ieri mattina del Presidente di Stellantis, John Elkann, secondo cui “non esiste alcun piano allo studio riguardante operazioni di fusione di Stellantis con altri costruttori”. Il Presidente ha aggiunto: “Stellantis è impegnata al tavolo automotive promosso dal Mimit che vede uniti il Governo italiano con tutti gli attori della filiera nel raggiungimento di importanti obiettivi comuni per affrontare insieme la transizione elettrica”. Ricapitolando: non solo nessuna fusione all’orizzonte, ma un impegno a supporto della filiera italiana.
Prima di accantonare questa due giorni di rumour e smentite bisogna fare un passo indietro e chiedersi se queste ipotesi siano campate in aria oppure se abbiano qualche possibile spiegazione. Il principale azionista di Renault è il Governo francese con una quota del 15%; il Governo francese compare nell’azionariato di Stellantis con una quota del 6%. Renault è una società piccola, ha un margine operativo netto che è un sesto di quello di Stellantis, non ha marchi premium, ha un’esposizione geografica fortemente sbilanciata sull’Europa, dove genera il 70% del fatturato, e ha appena dovuto accantonare, per mancanza di interesse degli investitori, la quotazione di Ampere, la divisione impegnata nell’auto elettrica.
Il mercato europeo è alla vigilia di una rivoluzione, imposta, verso l’auto elettrica su cui i competitor cinesi hanno un vantaggio di costo e di tempo. Il Governo di Parigi, il sistema Paese francese, ha un problema e il problema è il futuro industriale di Renault che, per quanto piccola su scala globale, è rilevante per l’occupazione d’oltralpe.
Date queste premesse, una fusione tra Stellantis e Renault, dal punto di vista di Parigi, avrebbe il merito di rafforzare il settore francese, mettere al riparo, il più possibile, Renault, i suoi stabilimenti e i suoi fornitori agganciandola a un partner molto più forte. Infatti, Stellantis ha marchi premium, ha una posizione geografica molto più solida ed equilibrata dato che il suo primo mercato è il Nord America, eredità di FCA via Chrysler, e in più ha una componente non trascurabile in America latina; ha una dimensione molto superiore e trenta miliardi di euro di cassa netta. L’ovvio corollario, ma questo non è affare di Parigi, è che controllare una razionalizzazione avendo a cuore il sistema francese implica una maggiore “cattiveria” sul resto del perimetro. Il risultato dell’operazione è una razionalizzazione, anche dei costi, ma gli addendi cambiano.
Questi rumour arrivano appena qualche giorno dopo la polemica sul destino degli stabilimenti italiani e le dichiarazioni dell’ad di Stellantis, Tavares, che non lasciavano presagire niente di buono.
Torniamo alla smentita del Presidente di Stellantis; l’impegno al tavolo promosso dal Mimit per raggiungere “obiettivi comuni per affrontare insieme la transizione elettrica” non è particolarmente preciso, né particolarmente impegnativo. In compenso la smentita di una fusione è secca. Il “mercato”, gli investitori che dall’altra parte dell’Atlantico o da Londra hanno comprato titoli Stellantis, difficilmente possono essere entusiasti di un’operazione che sembrerebbe fatta nell’interesse del “sistema Paese” francese. Il rischio, per il Governo italiano, è essere arruolato, inconsapevolmente, in una battaglia il cui fine non è la difesa dell’italianità ma degli utili trimestrali.
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