La Svezia ha deciso di dare una svolta alla politica di asilo. A spiegarne le ragioni Maria Malmer Stenergard, il ministro per la Migrazione svedese, secondo cui la Svezia finora aveva fallito perché «la politica migratoria è stata caratterizzata da un’ingenuità che voleva davvero aiutare, ma in pratica ha permesso un’immigrazione su larga scala senza garantire che chi arrivava avesse una reale possibilità di integrarsi nella società». Ne parla al giornale tedesco Welt, citando il caso del 2015, quando 163mila migranti attraversarono l’Europa per recarsi in Svezia e chiedere asilo. «È stato perché ci siamo distinti per le generose regole di concessione dei permessi di soggiorno e della cittadinanza, ma anche per il nostro sistema di welfare».



La Svezia si è ritrovata così alle prese con un’ondata di violenza che ha costretto il governo a inasprire le pene e a valutare l’introduzione di carceri giovanili, anche se il problema delle bande criminali resta. «Si tratta anche di prevenzione, ed è qui che entra in gioco la migrazione. Se vogliamo invertire la tendenza nelle aree emarginate, dove purtroppo la criminalità ha preso piede, dobbiamo mantenere l’immigrazione di richiedenti asilo a un livello molto basso per molto tempo. Le persone nate all’estero hanno un rischio maggiore di diventare criminali». A preoccupare particolarmente Stenergard è la consapevolezza «che il rischio è ancora più elevato tra gli immigrati di seconda generazione. Questo indica un’alienazione non solo ereditata, ma anche approfondita. È stata accumulata per decenni e ci vorrà molto tempo per eliminarla. Abbiamo appena iniziato».



I DOVERI DEI MIGRANTI E IL MODELLO ITALIA

La ministra svedese per la Migrazione non esclude di seguire la Danimarca, che ha introdotto una legge sul ghetto che mira a garantire che in un quartiere non viva più del 30% di migranti. «Non escludo nulla, ma al momento non esiste un piano governativo in tal senso. Tuttavia, credo che un politico intelligente dovrebbe guardare ai buoni esempi di altri Paesi ed emularli se lo ritiene opportuno». Nel frattempo, si sta pensando ad un sistema in cui rifugiati e migranti devono dimostrare, tramite lavoro e integrazione, di meritare le prestazioni sociali. «Si tratta innanzitutto di introdurre un principio che in Svezia non esisteva e che ha ostacolato l’integrazione: dovremmo segnalare chiaramente che ci aspettiamo che le persone imparino lo svedese e diventino occupabili. Invece, sono stati accolti con una filosofia di assistenza che ha reso le persone passive. È più giusto che chi si impegna benefici maggiormente del nostro sistema di welfare. Ma dobbiamo anche adattare il nostro quadro normativo in modo che non contribuisca a creare effetti di richiamo come in passato», spiega Maria Malmer Stenergard al Welt.



Invece, esclude accordi in materia d’asilo con Paesi terzi, come hanno fatto Danimarca e Regno Unito con il Ruanda. «Non abbiamo intenzione di fare nulla di simile. Ho anche osservato che la Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che ciò non è compatibile con il diritto internazionale. Stiamo seguendo con interesse le discussioni in corso sia in Germania che in Italia, che ha concluso un accordo con l’Albania». Secondo la ministra svedese, «la variante delineata dall’Italia è più realistica di quella del Ruanda. L’Albania è più vicina all’Europa e credo sia più facile da controllare. Le persone vengono salvate nel Mediterraneo e portate in Albania (nei centri di asilo, ndr) su imbarcazioni, non finiscono sul suolo europeo, dove hanno il diritto di chiedere asilo». Si sta discutendo anche di hub per il rimpatrio tra alcuni Paesi europei, cioè di ospitare in un Paese terzo le persone che non possono essere rimpatriate. «Anche in questo caso, non si tratta di una proposta del governo, ma stiamo seguendo la discussione con grande interesse», conclude Stenergard.