“The Dream Syndicate are here to stay?”, chiedo a uno Steve Wynn più in forma che mai nella sala colazione dell’albergo dove alloggia per questo breve passaggio a Milano. La sera precedente si è esibito nel nuovo locale dell’amico Manuel Agnelli in un set acustico, stamattina già dalle 10 incontra i giornalisti per parlare del nuovo disco del suo gruppo storico, in uscita in questi giorni, “These Times”. In formissima, il tempo per lui sembra non passare mai. “Non era un colpo e basta il disco di due anni fa allora”. “Sì, siamo qua per rimanerci, esattamente come il rock’n’roll” risponde ridendo.
Incontrare Steve Wynn è sempre un piacere: una delle persone più entusiaste, vitali, e anche umili, il che è una rarità nell’ambiente, della scena musicale. Mille progetti nel corso di una carriera cominciata nei primi anni 80, ma evidentemente quello a cui teneva di più erano proprio i Dream Syndicate. Nel 2012, dopo più di dieci anni dallo scioglimento, una reunion inaspettata per alcuni concerti in Spagna che non è più finita, culminata negli ultimi anni con due ottimi dischi. Benché il quasi totale cambio di formazione, i semi originali di quei giorni del glorioso Paisley Underground ci sono ancora tutti: rock garage energico e dai sentimenti punk mischiato all’usuale psichedelia che si lancia in cavalcate cosmiche. Anzi, “These Times” sembra un progetto ancor più omogeneo del precedente, segno che la voglia di far musica è più viva che mai: “Fare riferimento a chi eravamo e a cosa abbiamo fatto la prima volta, ma con un tocco di freschezza e innovazione: è un equilibrio difficile,” spiega Wynn. “Ignorare il passato o usare il nome della band per convenienza, vuol dire che rimani troppo aggrappato ad esso e diventi una parodia. Abbiamo evitato entrambe le cose” dice.
Non eravamo in molti ad aspettarci un nuovo disco dei Dream Syndicate, pensavamo si trattasse del classico “one shot” per festeggiare la vostra reunion e che saresti tornato ai tuoi tanti progetti. Invece?
Invece no. Ci siamo trovati così bene durante l’ultimo tour che volevamo fare un altro disco il prima possibile. Ci sentiamo musicalmente più liberi che mai, abbiamo la libertà di fare la musica che ci piace e ci divertiamo.
Dunque hai scritto le nuove canzoni pensando a un disco dei Dream Syndicate?
Sì, la mia creatività adesso è tutta per loro. E’ il modo per cercare di tenere insieme la band e non disperderci una seconda volta.
Che differenza c’è tra questa band e quella originale?
Siamo una nuova band, abbiamo lo stesso nome e suoniamo qualche vecchia canzone, ma il disco di due anni fa ci ha dato la libertà di fare cose nuove e muoverci in altri territori.
Cosa ne pensano i vecchi fan?
Abbiamo nuovi e vecchi fan, c’è una nuova generazione che ama le band psichedeliche.
Quando si parla di psichedelia, si pensa sempre ai gruppi della scena di San Francisco degli anni 60, Lsd e magliette tye dye. Ma voi non siete mai stati così. Che ne dici di “psichedelica senza la droga” per la vostra musica?
Oh certo, è quello che ho sempre sostenuto a proposito della nostra musica, è una definizione perfetta.
Qual è la differenza?
Potrei dire che i Dream Syndicate si ispiravano a gruppi come i Can o artisti come John Coltrane. I nuovi invece vogliono suonare come i Quicksilver Messenger Service, Miles Davis e i Funkadelic.
Ci sono altre band come voi oggi in America?
Assolutamente, in America e in tutto il mondo, ci sono un mucchio di gruppi che fanno questo tipo di musica.
Il video di Black Light è però una visione decisamente psichedelica vecchio tipo, è così?
Oggi la droga come la marijuana in America è legale in molti stati, non è più qualcosa di trasgressivo. Ci interessa più il concetto di espansione di quelle parti della nostra mente che normalmente l’essere umano non usa.
Hai detto che per la composizione delle nuove canzoni ti sei ispirato a un personaggio piuttosto sconosciuto in Italia, Donuts di J-Dilla. Chi era e cosa ti ha colpito di lui?
Era un produttore e artista hip hop degli ultimi anni 90, morto nel 2006. Ha fatto molte produzioni usando sample e pezzi da varie canzoni, era un autentico collezionista di dischi. Il suo ultimo disco, Donets, è una sorta di Blackstar, l’ultimo disco di Bowie. Stavo trafficando con sequencer, drum machine, loop – qualsiasi cosa mi conducesse fuori dal mio modo abituale di scrivere facendomi sentire come se stessi lavorando ad una compilation piuttosto che “sempre alla stessa cosa”. Può risultare non proprio automatico mettere The Dream Syndicate e J-Dilla nella stessa frase ma io sento quell’album quando sento il nostro nuovo album. Alla fine il nuovo disco vuole suonare come una sorta di programma radiofonico.
E’ evidente che le nuove canzoni dal vivo potranno espandersi in improvvisazioni entusiasmanti. C’è un brano però che suona come un classic rock blues, Speedway, anzi mi fa venire in mente Highway 61 Revisited di Bob Dylan in versione accelerata.
In quel brano puoi sentirci anche i Moby Grape e Mike Smith. Quel brano è il pezzo più “regolare” del disco, un classico rock’n’roll con anima punk.
The All World Is Watching è invece una pura jam, è così?
Quella canzone è tutta improvvisazione, ma è solo quella, le altre sono state registrate in modo più regolare.
I testi, come hai detto anche tu, sono estremamente apocalittici, da fine del mondo, come mai?
Proprio come l’ultima volta, ho scritto i testi dopo aver finito i brani così che le parole sarebbero state condotte dal sound e non viceversa. Sono testi dove non emerge né speranza né sconfitta, non c’è una “road map” che indichi una strada. Non sappiamo cosa succederà domani se sarà meglio o peggio. Le nuove canzoni esprimono questo sentimento. Non c’è certezza.
Viviamo in effetti in un mondo dove ogni certezza sembra scomparsa e dove sono emersi personaggi inquietanti. Sei d’accordo che quello che rappresentano Trump in America e Salvini in Italia non sia stato inventato da loro, ma è sempre stato presente nella maggioranza silenziosa e che loro si sono solo limitati a farlo emergere? Sanno come manipolare le persone.
Sono d’accordo, poi oggi abbiamo Internet che per queste persone è una manna per far passare le loro idee. Immaginati se Mussolini avesse avuto Internet…
Pensavamo che Internet fosse una grande occasione di libertà e di democrazia, invece ha ucciso ogni cosa: le idee, il pensiero, anche la musica…
Non sono d’accordo del tutto, per la musica è una buona cosa, puoi cercare un sacco di cose che prima non conoscevi, imparare, connetterti con la gente, comunicare le cose che fai. Come artista trovo Internet molto utile. Tu sei il filtro di come usare internet. Ci sono fake news ma non fake music.
Recentemente hai curato una compilation dedicata al Paisley Underground in cui voi e altre band di quel periodo vi scambiate i brani, come hai avuto questa idea?
E’ una celebrazione ognuno degli altri. Trent’anni fa eravamo amici e lo siamo ancora. Ci piacevamo tra di noi, era un momento di grande musica.
Eravate consapevoli di far parte di una scena?
Ne eravamo consapevoli, sapevamo che era il momento per quel tipo di musica, una musica che nessuno faceva in quel momento, nella stessa città. Ci sentivamo parte di un movimento. Durò tutto un solo anno, un magico anno, poi ognuno andò per la sua strada.
Sei stato coinvolto in tantissimi progetti nel corso della tua carriera. Se dovessi citare un momento di cui dire, ecco quello è Steve Wynn al suo meglio, quale citeresti?
Il vero me è in ogni cosa che ho fatto, il Baseball Project ad esempio, o quando suono con Manuel Agnelli, i Dream Syndicate… Sono sempre dentro a quello che faccio al massimo delle mie possibilità. Oggi sono un folksinger, domani faccio musica psichedelica… Quello che ho sempre voluto fare è scrivere canzoni, viaggiare, cantarle dal vivo, essere creativo.
Ps: I DS saranno in Italia a giugno: 18 giugno alla Mole Vanvitelliana, Ancona, 19 giugno al Magnolia, Milano, 20 giugno all’ Arena Cappuccini, Cesenatico, 21 giugno al Teatro Astoria, Fiorano Modenese (MO), 22 giugno al Monk, Roma. Per maggiori informazioni sul tour visita:http://www.thedreamsyndicate.com/these-times.html.