Lesioni traumatiche al cervello, a seguito di cadute o incidenti, possono lasciare le vittime in condizioni di disabilità permanente, con ripercussioni anche importanti su studio e lavoro, costringendo all’abbandono per le difficoltà nel concentrarsi. Proprio per evitare ciò la medicina sta facendo passi da gigante, sperimentando la stimolazione cerebrale profonda ai fini del recupero cognitivo. Come apprendiamo dal New York Times i 5 volontari su cui è stato effettuato il test hanno avuto risultati ottimali. Sarà però necessario eseguire ulteriori approfondimenti.



La tecnica mira a riattivare aree cerebrali che hanno subito lesioni traumatiche da moderate a gravi. Si tratta tra l’altro di una tecnica già conosciuta e già utilizzata nel trattamento di Parkinson, epilessia, depressione o cefalea a grappolo cronica farmacoresistenti nelle quali occorre rimettere in sesto il funzionamento dei neuroni con una piccola stimolazione elettrica che fa recuperare anche la risposta ai farmaci diventati ormai inefficaci. Ora i ricercatori dell’Università di Stanford (Usa) , che hanno avviato anche una serie di sperimentazioni cliniche sulle interfaccia cervello-computer capaci di far comunicare pazienti colpiti da ictus o malattia neurodegenerative, hanno trattato con la stessa tecnica i volontari che presentavano una lesione cerebrale traumatica da moderata a grave (msTBI).



STIMOLAZIONE CEREBRALE PROFONDA: I PROSSIMI STEP

In base alla sperimentazione mentre gli elettrodi stimolavano i cervelli dei volontari, le loro prestazioni nei test cognitivi miglioravano. Se i risultati si dovessero confermare in studi clinici più ampi, gli impianti potrebbero diventare la prima terapia efficace per le lesioni cerebrali croniche secondo quanto hanno affermato i ricercatori.

In generale, c’è molto poco in termini di trattamento”. Questo è quanto ha sottolineato il Prof. Jaimie Handerson. Ma il fatto che questi pazienti fossero usciti dal coma e avessero recuperato una discreta quantità di funzioni cognitive suggeriva che i sistemi cerebrali che supportano l’attenzione e l’eccitazione – la capacità di rimanere svegli, prestare attenzione a una conversazione, concentrarsi su un compito – erano relativamente preservati. Questi sistemi collegano il talamo a punti in tutta la corteccia, lo strato esterno del cervello, che controllano le funzioni cognitive superiori. “In questi pazienti, tali percorsi sono in gran parte intatti, ma tutto è stato sottoregolato“, ha aggiunto il professor Henderson, che ha anche affermato: “È come se le luci fossero state abbassate e non ci fosse abbastanza elettricità per riaccenderle.”



I RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE

Dopo una fase di analisi di due settimane per ottimizzare la stimolazione, i partecipanti hanno trascorso 90 giorni con il dispositivo acceso per 12 ore al giorno. I loro progressi sono stati misurati mediante il trail-making test , vale a dire un test neuropsicologico di attenzione visiva e cambiamento di compito. Il test consiste nel collegare 25 “obiettivi” consecutivi , lettere e numeri mescolati su un foglio di carta . “È un test molto delicato proprio su ciò che stiamo osservando: la capacità di concentrarsi e pianificare, e di farlo in un modo che sia sensibile al tempo”, ha raccontato ancora il professor Henderson. Alla fine del periodo di trattamento di 90 giorni, i partecipanti avevano migliorato la loro velocità nel test, in media, del 32%, superando di gran lunga il 10% a cui miravano i ricercatori. “L’unica cosa sorprendente è che ha funzionato come avevamo previsto, il che non è sempre scontato“, ha rimarcato Henderson.

Per i partecipanti e le loro famiglie, i miglioramenti sono stati evidenti nella loro vita quotidiana. Hanno ripreso attività che sembravano impossibili: leggere libri, guardare programmi TV, giocare ai videogiochi o finire un compito a casa. Si sentivano meno stanchi e potevano affrontare la giornata senza sonnecchiare. “È un momento pionieristico“, ha affermato il professor Nicholas Schiff, che ha guidato la sperimentazione. “Il nostro obiettivo ora è provare a compiere passi sistematici per rendere questa una terapia. Questo è un segnale sufficiente per impegnarci al massimo“.