La notizia che la Procura di Padova ha impugnato tutti e 33 gli atti dell’anagrafe con cui il Comune riconosceva automaticamente ai bambini di coppie gay il diritto di assumere anche il cognome del “secondo genitore”, ossia quello della mamma non biologica, campeggiava su tutti i quotidiani di ieri. La maggioranza delle testate giornalistiche sembra schierarsi dalla parte del sindaco Sergio Giordani, non ritenendo affatto illegittimi gli atti da lui sottoscritti. Le raccomandate, inviate dalla Procura di Padova alle cosiddette “famiglie arcobaleno” con decreto del Tribunale, di fatto cancellano il “genitore 2” dallo stato di famiglia. L’atto giudiziario spiega che un certificato di nascita registrato con “due mamme” va contro le leggi e i pronunciamenti della Cassazione. Ma va anche contro l’evidenza scientifica e contro quel senso comune che ha sempre considerato ogni bambino figlio di una madre e di un padre.



Perché è impossibile

Per concepire un bambino servono una donna e un uomo, un oocita e uno spermatozoo, anche se il concepimento avviene attraverso la fecondazione in vitro. Di fatto questo è quanto è avvenuto con ognuno dei 33 bambini, per cui accanto alla disponibilità della madre a mettere a disposizione i suoi oociti perché fossero fecondati, c’è stato bisogno che la stessa madre accudisse questo bambino con una gestazione durata in media nove mesi. Il contributo del padre c’è stato sicuramente al momento dell’inseminazione, ma, anche se lui poi si è sottratto alle sue responsabilità genitoriali, ha lasciato a suo figlio un patrimonio genetico che comunque ne condizionerà la vita futura.



Questi 33 bambini, in altri termini, hanno tutti un padre che ha contribuito in modo sostanziale alla loro nascita. Anche se probabilmente non sapranno mai chi è e questa verità incontrovertibile è quella che va narrata a questi bambini, che sono davvero come tutti gli altri, proprio in virtù di quel padre che si è sottratto alle sue responsabilità. Ma ha comunque reso possibile la loro nascita. Sono quindi figli di una madre che li ha desiderati intensamente e di un padre che invece non ha voluto riconoscerli come suoi figli. L’eventualità che siano nati da due madri è talmente falsa che il bambino ne scorgerà l’intima contraddizione non appena si avvicinerà con i suoi studi alla biologia.



Il che, ovviamente, non esclude che non ci possano essere molte altre persone che vorranno loro bene e cercheranno di colmare questo vuoto, formando insieme a loro un nucleo familiare ricco di affetti, che lasceranno una traccia profonda nel loro stile di vita, nella loro personalità; adulti e bambini, che potranno svolgere un ruolo fondamentale nella loro esistenza, ma che non possono capovolgere le leggi della natura.

Le conseguenze

Lo scandalo che molti giornali oggi denunciano, attraverso interviste a vari esperti, sembra assumere tutte le caratteristiche di una violazione dei diritti di questi 33 bambini, per la “cancellazione” del nome della madre non biologica e la “rettifica” del cognome attribuito al figlio, tramite la cancellazione del cognome della cosiddetta “seconda mamma”. Lo stesso sindaco di Padova, Sergio Giordani, afferma che il suo è un atto di responsabilità verso questi bambini perché lui non accetta che ci siano bambini discriminati fin dalla nascita nei loro diritti fondamentali.

In realtà questi bambini avranno un solo cognome, come avviene attualmente in Italia per ogni bambino, il cognome della madre che li ha partoriti. Se poi la madre vorrà, potrà ricorrere a successive forme di adozione seguendo le norme previste dalla legge sulle adozioni, rafforzando in questo modo la tutela del bambino, ma senza alcun automatismo.

E il bambino saprà con certezza fin da quando nasce chi è sua madre e successivamente potrà sapere anche chi ha deciso di prendersi cura di lui in modo particolare, collaborando con sua madre in tanti modi diversi (per esempio, facendosi fare una delega per andarlo a prendere a scuola o per accompagnarlo in altre situazioni e circostanze, contando sul consenso informato di suo madre).

Potrebbe essere un iter chiaro e semplice se non avesse assunto in questi anni la dimensione di una vera e propria rivendicazione che vuole negare qualsiasi differenza tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali. La differenza c’è e potrebbe essere assai meno discriminante se venisse collocata nella giusta prospettiva che parte dalla realtà dei fatti; compresa la definizione di famiglia che oggi abbraccia nuove dimensioni, soprattutto sul piano affettivo, ma non può negare ciò che comunque esprime una delle principali leggi di natura.

Per questo appare fortemente ideologico voler cancellare dal certificato di nascita dei bambini la distinzione tra madre e padre, per sostituirla con quella di genitore 1 e 2, condannando all’anonimato la madre biologica del bambino, che – vale la pena ricordare – è anche la sua madre gestazionale, quella che lo ha portato nel seno nove mesi, lo ha allattato e condivide con lui il suo patrimonio genetico e tutte le sue difese immunitarie.

Differenze oggettive e non discriminazioni

Nessuna discriminazione tra madre biologica e madre adottante, ma una oggettiva differenza di ruolo e di potenziale ereditarietà.

Oggi una di queste madri denuncia come una crudeltà, un potenziale trauma insanabile, il cambio di cognome della figlia, ma questo non sarebbe accaduto se alla bambina fosse stato dato fin da principio il solo cognome di sua madre, riservandosi in un secondo momento di aggiungere un secondo cognome e spiegando le differenze di ruolo tra le due donne, senza nulla togliere all’affetto che ognuna di loro potrà avere nei suoi confronti.

Il primo caso di questa lunga serie di 33 registrazioni, ritenute illegittime anche dalla legge e dalla recente sentenza della Cassazione, ha una ulteriore sfaccettatura che merita di essere presa in esame. L’altra donna della coppia gay ha avuto anche lei un bambino con la Pma eterologa, anche lei contro quanto previsto dalla legge, e il bambino dovrà rinunciare in questa fase al cognome di colei che non è la sua madre biologica. Dovrà fare una delega alla sua compagna perché possa andare a prendere il bambino a scuola e accompagnarlo alle diverse attività che i bambini amano. Comprese le visite dal pediatra. I due bambini vivranno le stesse esperienze e come tutti i bambini prima o poi si adatteranno alle nuove circostanze senza eccessivi drammi. Sempre che le due donne non intendano strumentalizzare a fini ideologici la nuova condizione, trasformando in una sorta di rissa mediatica quella che è una naturale applicazione della legge.

I due bambini, una femmina e un maschio di sei anni, hanno pochi mesi d’età di differenza, e finora hanno vissuto come fratelli, senza ignorare comunque le naturali differenze che ci sono tra di loro. Molto dipenderà dal clima affettivo e dallo stile educativo in cui i bambini vivranno e se sarà sereno, in conformità con le leggi naturali dettate dall’esperienza, le ripercussioni sulla loro identità e sulla loro vita sociale, non lederanno alcun diritto fondamentale. E scopriranno di non aver perso affatto un fratello o una sorella; si sentiranno parte di una famiglia allargata, diversa da quella della maggioranza dei compagni e delle compagne, ma non dilaniata da traumi e rancori; da rivendicazioni drammatiche per il fatto di non avere più un fratello e una mamma.

Il vuoto legislativo non c’è

In realtà non c’è un vuoto legislativo, ma solo la forte determinazione, del tutto ideologica, a non voler accettare quelle leggi che contraddicono ai propri desideri, come accade con la legge 40 sulla Pma e con la legge sulle unioni civili – legge 76/2016 –, in cui vale la pena ricordare che l’approvazione del Parlamento venne subordinata al fatto che non si toccasse l’asse genitoriale, ma restasse un patto tra adulti prevalentemente dello stesso sesso e regolasse diversi aspetti della loro convivenza.

Il vuoto legislativo c’è per quanto riguarda l’utero in affitto e conviene mantenere questa dizione senza inutili maquillage linguistici come potrebbe accadere parlando di Gestazione per altri… Ma per questo il Parlamento sta coraggiosamente portando avanti la sua battaglia, che è prima di tutto una battaglia di verità.

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