Enrico Costa, esponente del partito Azione, rivendica sulle pagine della Stampa, con un certo orgoglio, di essere autore dell’emendamento che vieta la pubblicazione, sui mezzi d’informazione, dei mandati d’arresto, sia in forma integrale che parziale. “Si torna”, sottolinea, “al 2017” con la cosiddetta legge Vassalli del 1988. “C’era già all’epoca”, ricorda, “la necessità di evitare i processi mediatici” perché si passò al processo accusatorio ed era necessario evitare “che il giudice [venisse] influenzato”.



Un tentativo, sottolinea Costa, tuttavia vano, perché alla fine “è prevalso il processo mediatico” e, peggio ancora, oggi siamo arrivati “al processo via social“. Differentemente, la giustizia deve essere “gatta in un’aula di tribunale, non sulla rete, in tv o sui giornali”, anche perché allo stato attuale l’attenzione viene sempre posta solo “sulle prime fasi del procedimento, quando arrivano le carte dell’accusa e la difesa nemmeno è scesa in campo”. Il rischio di tutto questo sistema, spiega Costa, è che “l’opinione pubblica viene formata in senso colpevolista” e nessuno segue poi veramente il processo, con l’esito che “la colpevolezza ogni volta sembra schiacciante” e si finisce per condannare anche chi, in realtà, viene assolto.



Enrico Costa: “Presunzione d’innocenza va preservata”

“L’emendamento che impedisce la pubblicazione integrale o per estratto di un mandato di arresto“, spiega ancora Costa sulle pagine della Stampa, “penso che sia il completamento di un percorso“, passato anche per “il diritto all’oblio [e] le spese pagate dallo Stato” per l’assolto, ma anche per il recepimento, sempre voluto da lui, della “direttiva europea sulla presunzione di innocenza” con “Comunicati stampa uguali per tutti. Conferenze stampa in pochi casi necessari. Niente nomignoli suggestivi alle indagini”.



Secondo Costa, infatti, “si dev’essere molto cauti nella comunicazione delle accuse perché sono un qualcosa ancora non verificato in tribunale. Dobbiamo trovare un bilanciamento”, suggerisce, “tra il diritto di informare e di essere informati, e la presunzione di innocenza“. Anche perché, pubblicando i mandati e tutte le carte, si generano fenomeni per cui “le ordinanze sono scritte in maniera maliziosa” proprio al fine della pubblicazione perché, spiega Costa, “aiutano ad alzare l’attenzione”.