Matteo Ricci, il primo cittadino di Pesaro nonché coordinatore dei sindaci del Patito democratico, ha parlato con il Corriere dell’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Tema, questo, centrale nelle ultime settimana in politica e tra i grandi obbiettivi nell’ambito della giustizia annunciati (ed ora completati) dalla maggioranza governativa di centrodestra. Sul tema nel corso delle ultime settimane l’opposizione, ed in particolare il Partito democratico, hanno fatto muro, sottolineando che abolire l’abuso d’ufficio sarebbe un errore per varie ragioni e votando, ad ogni occasione utile, contro. Posizione, quella del gruppo parlamentare del Pd, che non ha trovato l’appoggio dei sindaci tra le sue fila, come ci tiene a precisare chiaramente Matteo Ricci nella sua intervista.



Matteo Ricci, sindaco del Pd: “Bene all’abolizione dell’abuso d’ufficio, i Dem non sono in linea con noi”

L’abolizione dell’abuso d’ufficio, spiega Ricci, è “un po’ una vittoria dei sindaci“, soprattutto perché quel reato “rappresenta un problema” per i primi cittadini italiani, “anche grosso”. Differentemente, però, all’interno del Partito democratico, spiega il sindaco di Pesaro, “sono molti anni che va avanti questo dibattito interno” e non sarebbe, secondo lui, tanto il partito in sé a dirsi contrario all’abolizione, quando “il gruppo parlamentare” che così facendo dimostra che “non è in linea con noi“.



Il problema dell’abuso d’ufficio secondo il primo cittadino di Pesaro è dimostrato perfettamente dai numeri che certificano come “il 95% dei sindaci condannati in primo grado viene poi assolto. Troppe volte si viene condannati per questioni risibili” come nel caso di “Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, condannato in primo grado [perché] aveva ceduto una sala ad un’associazione invece che ad un’altra”. Ma oltre che per parlare dell’abuso d’ufficio, Ricci ha approfittato per avanzare anche altre richieste che i sindaci da tempo fanno a gran voce. Innanzitutto, “una modifica della legge Severino“, perché trova insensato che “i parlamentari decadono dopo il terzo grado di giudizio [e] noi al primo”. Poi, il terzo mandato, che “è il minimo. Siamo discriminati”, spiega, “gli altri amministratori non hanno limiti di mandato” e in generale “in nessun paese d’Europa ci sono vincoli”, escluso il Portogallo, “che ne ha tre”.

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