L’accordo sul grano, quello che ha finora garantito il transito delle navi nel Mar Nero, potrebbe essere a fine corsa. Mosca ha dichiarato di non volerlo rinnovare. O almeno ha alzato la posta, chiedendo di rivederne le condizioni. Ma quale impatto potrebbe avere la rottura di questo fragilissimo equilibrio sul sistema alimentare internazionale?
Coldiretti ha provato a fare qualche stima: sulla base dei dati del Centro Studi Divulga, ha calcolato che, con la mancata proroga dell’accordo verranno a mancare dai mercati mondiali ben 32,8 milioni di tonnellate di grano, mais e olio di girasole. Ovvero la stessa quantità partita dai porti ucraini di Chornomorsk, Yuzhny e Odessa nell’anno di attuazione dell’intesa. E a pagare il prezzo più alto di questa sospensione saranno i Paesi che più hanno beneficiato dell’intesa: Cina (24%), Spagna (18%) e Turchia (10%). Ma non va dimenticata neppure l’Italia (6%) che si piazza al quarto posto. E che peraltro deve anche fare i conti con il maltempo, cui si deve imputare una perdita dei raccolti di grano nazionale di almeno il 10% rispetto allo scorso anno “con il rischio concreto che – sottolinea Coldiretti – la produzione di grano duro nazionale per la pasta possa scivolare a poco più di 3,7 milioni di tonnellate, mentre quella di grano tenero per pane e biscotti si attesti sotto i 2,7 milioni di tonnellate”.
Ma non è tutto. “L’accordo è stato importante – sostiene Coldiretti – anche per fronteggiare il pericolo carestia in ben quei 53 Paesi, dove secondo l’Onu, la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. La mancata proroga rappresenta quindi un pericolo anche per la stabilità politica. E questo proprio mentre si moltiplicano le tensioni sociali e i flussi migratori, anche verso l’Italia”.
E non solo. La decisione presa a Mosca avrà infatti pesanti riflessi anche sul piano economico. “A questo punto – afferma il Presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – è da mettere in preventivo un rialzo dei prezzi delle commodities che, secondo l’indice della Fao, sono in costante diminuzione da un anno rispetto al picco raggiunto nel marzo 2022″. Una prospettiva tutt’altro che teorica se si guarda all’andamento delle quotazioni internazionali del grano, balzate del +3,4% in un solo giorno, alla chiusura settimanale delle contrattazioni lo scorso venerdì, in assenza di conferme sul rinnovo dell’accordo.
Va detto tuttavia che una buona notizia sul fronte dei prezzi c’è: “Sul piano delle scorte globali – rileva Giansanti -, la situazione è diversa da quella in essere nel luglio dello scorso anno, quando l’accordo fu sottoscritto. Allora, ad esempio, le giacenze di mais erano al minimo da sei anni. Ora, stando alle previsioni del dipartimento di Stato Usa all’Agricoltura, si attesteranno a fine campagna 2023-2024 sul livello più elevato da cinque anni. E anche le scorte di grano sono previste in crescita”.
Ma a incidere sullo scacchiere economico potrebbe intervenire anche un altro aspetto da non sottovalutare: “Il mancato rinnovo dell’accordo – rileva Giansanti – può avere come conseguenza un aumento dei flussi di prodotti ucraini sul mercato europeo, con il risultato di innescare ulteriori pressioni al ribasso delle quotazioni. Si consideri che per il grano tenero già scontiamo in Italia un taglio di circa il 30% rispetto ai prezzi del 2022″.
E anche in questo caso non si tratta di sola teoria. Lo dimostra quanto già avvenuto negli ultimi mesi. Per effetto della sospensione dei dazi doganali sui prodotti di Kiev decisa dall’Ue lo scorso giugno – ricorda Confagricoltura -, dagli ultimi dati diffusi dalla Commissione risulta che le importazioni di prodotti agroalimentari dall’Ucraina sono aumentate del 60% nei primi tre mesi di quest’anno sullo stesso periodo del 2022, tanto che, nel giro di un anno, l’Ucraina è diventata il secondo fornitore di prodotti agroalimentari dell’Unione.
E che il problema sia serio lo conferma anche la misura adottata dall’Ue, che, per limitare l’impatto provocato dal forte aumento degli arrivi da Kiev, ha deciso in via eccezionale, fino al 15 settembre, il blocco delle importazioni di grano, mais, colza e semi di girasole in cinque Stati membri – Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia -, consentendo solo il transito verso altre destinazioni nell’Ue o fuori dall’Unione.
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