Di fronte alla minaccia di una crisi alimentare globale, è necessario rinunciare all’agricoltura biologica. Sulle colonne della testata elvetica NZZ am Sonntag, Erik Fyrwald, ceo del colosso agrochimico basilese Syngenta, lancia una tesi, destinata a fare discutere. Le rese dell’agricoltura biologica – sostiene il manager – possono essere inferiori fino al 50% a seconda del prodotto rispetto a quelle registrate da una coltivazione tradizionale. E ancora, l’agricoltura biologica favorisce il consumo di terra, perché richiede superfici più grandi, e danneggia il clima, poiché i campi vengono solitamente arati, il che aumenta le emissioni di CO2.
Secondo il numero uno del gruppo ce n’è dunque abbastanza per scegliere altre soluzioni, capaci di assicurare una maggiore produzione in uno scenario in cui la guerra in Ucraina, l’aumento del costo delle materie prime e la crescita dei prezzi dell’energia mettono a dura prova l’intero sistema della produzione alimentare. In buona sostanza – dice Fyrwald -, i Paesi ricchi hanno l’obbligo di aumentare la loro produzione agricola per evitare una catastrofe mondiale. E per fare questo, occorre ripensare la scelta del biologico.
Un punto però controverso, che non ha mancato di suscitare, nel nostro Paese, una netta presa di posizione di Coldiretti. L’attacco della multinazionale Syngenta al biologico – dice in una nota la Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti – colpisce direttamente l’Italia che è leader europeo nel numero di imprese agricole bio con ben 70mila produttori, con oltre 2 milioni di ettari coltivati. “Occorre lasciare agli imprenditori la libertà di decidere cosa produrre sulla base dei propri interessi e della domanda dei consumatori” afferma il Presidente, Ettore Prandini, sottolineando che “viviamo in una economia di mercato dove a decidere cosa produrre non può essere di certo la cinese Syngenta”.
E da qui l’accusa alla multinazionale, dietro alla cui posizione si sospetta un conflitto di interessi. Secondo Coldiretti, è infatti interessato il parere del massimo esponente della multinazionale del settore dell’agro-industria, specializzato nella produzione di mezzi tecnici per l’agricoltura e nelle attività nel campo delle sementi, che è stato acquistato nel 2017 per 43 miliardi di dollari dal colosso cinese ChemChina, il quale nel frattempo si è unito con Sinochem, dando vita a una holding petrolchimica da 150 miliardi di dollari.
Una tesi che Fyrwald rigetta: malgrado Syngenta produca pesticidi e sementi geneticamente modificate, il manager afferma di non opporsi all’agricoltura biologica per favorire gli interessi dell’azienda: il settore – fa notare il Ceo – realizza infatti alti profitti con i prodotti bio, poiché i consumatori sono pronti a pagare molto per acquistarli”.
La querelle è insomma accesa e aperta. E non pare affatto destinata a esaurirsi qui. Le dichiarazioni di Fyrwald, che arrivano dopo il tentativo fallito dalla multinazionale cinese di acquisire in Italia la Verisem, impegnata nel settore sementiero – sostiene Coldiretti -, non sono purtroppo un caso isolato, ma rappresentano la punta dell’iceberg di una pericolosa strumentalizzazione degli effetti della guerra per ridurre le garanzie qualitative e di sicurezza degli alimenti, come anche la trasparenza dell’informazione ai consumatori, con la richiesta di deroghe alla legislazione vigente. Richieste che spaziano dall’innalzamento dei limiti massimi ai residui chimici presenti negli alimenti introdotta in Spagna per alcuni principi attivi alla richiesta di utilizzo degli Ogm non autorizzati, per arrivare alla possibilità di utilizzare olio di palma in sostituzione di quello di girasole senza indicarlo esplicitamente in etichetta, concessa con una circolare dal ministero dello Sviluppo economico nel nostro Paese.
“L’Italia non può accettare passi indietro sulla sicurezza alimentare che mettono a rischio la salute dei consumatori, ma anche la competitività del Made in Italy”, conclude Prandini, sottolineando che il necessario aumento quantitativo delle produzioni deve essere ottenuto nell’immediato salvando aziende e stalle da un’insostenibile crisi finanziaria. In una prospettiva più a lungo termine – aggiunge Coldiretti – servirà invece investire per aumentare produzione e rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane così da combattere la siccità, come pure sarà importante contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni. Senza dimenticare di sostenere la ricerca pubblica e di puntare su innovazione tecnologica e New Breeding Techniques, ovvero sulle nuove tecniche di miglioramento genetico. Una strada, conclude Coldiretti, capace di sostenere le produzioni, tutelare la biodiversità e fornire una risposta ai cambiamenti climatici in atto.
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