L’Ucraina ha deciso di non rinnovare il contratto per permettere il transito del gas russo dal suo territorio verso l’Europa. Così, dall’inizio dell’anno, si è aperta una nuova fase sul mercato dell’energia, che porta a compimento un processo nato con la guerra russo-ucraina e che prevede la chiusura dei rapporti commerciali europei con Mosca da questo punto di vista. La UE ha già individuato altre strade, spiega Alberto Clò, già ministro dell’Industria del governo Dini e, dal 1984, direttore della rivista “Energia”, anche se questa nuova mappa dei mercati ha provocato un aumento dei prezzi, se non altro perché il gas liquefatto, scelto come alternativa e proveniente in particolare dagli USA, costa di più di quello che ci arrivava dalla Russia. Si tratta di nuovi approvvigionamenti che, di fatto, favoriscono gli americani in un mercato mondiale in cui, al di là dei proclami sulla transizione energetica, la fanno ancora da padrone le fonti fossili, carbone e petrolio.
Che peso ha la fine del passaggio sul territorio ucraino del gas russo destinato all’Europa?
La dipendenza dal gas russo dell’Europa è diminuita molto da quando è iniziata la guerra, ma il mancato rinnovo del contratto per il transito dall’Ucraina ha ancora delle ricadute importanti su di noi, UE e Italia: comporta la necessità di sostituire questo gas con quello liquefatto. Viene ridotta ulteriormente la dipendenza dalla Russia e aumentata quella dal gas liquefatto, soprattutto americano, che però costa di più.
Perché il gas liquefatto costa di più?
Perché riflette non solo la domanda europea, ma anche quella asiatica. Se questa aumenterà, evidentemente aumenteranno i prezzi internazionali del gas. Essendo prezzi unici, non sono diversificati a seconda dei contratti, come avviene nel gas trasferito via pipeline. Inoltre, in base al sistema che vige in Europa e quindi in Italia, i prezzi del gas si riflettono su quelli dell’elettricità. Quindi, più è caro il gas, più è cara l’elettricità. L’Europa, che si era impegnata ad azzerare le importazioni di gas dalla Russia entro il 2027, ne dipende ancora. E questa dipendenza ha implicazioni sia economiche, sia politiche: si rischia di produrre delle frizioni all’interno dei Paesi europei, perché alcuni sono filorussi.
La decisione dell’Ucraina di non rinnovare questo contratto per il passaggio del gas è tutta politica?
Sì, perché, in realtà, l’Ucraina rinuncia anche agli introiti derivanti dal transito di quel gas: mi sembra una decisione unicamente politica. Indirettamente avvantaggia l’America, ma non si può dire che la decisione derivi da sollecitazioni e pressioni di parte americana. Di fatto, direttamente, comunque, favorisce gli USA.
Ma come cambia allora il mercato del gas, la mappa delle forniture?
In parte, come ho detto, sono aumentate di molto le importazioni di gas liquefatto. Per un altro verso, sono cresciute anche quelle dall’Azerbaijan, da dove il gas arriva direttamente in Italia, con una capacità che può essere aumentata. Sono stati avviati pure nuovi contratti con l’Algeria: la geografia degli scambi internazionali di gas è notevolmente cambiata.
Ci rimette anche la Russia?
Per sostituire le esportazioni di gas verso l’Europa, che ne assorbiva l’80-90%, la Russia ha aumentato quelle verso la Cina. Chi ci rimette in modo consistente è soprattutto Gazprom, che ha visto ridurre enormemente i suoi ricavi e anche il suo valore azionario.
Ci sono altri canali attraverso i quali il gas russo può arrivare lo stesso in Europa?
C’è la possibilità di esportazione attraverso la Turchia, grazie al TurkStream, nei limiti della capacità esistente di quel gasdotto: un’ulteriore compensazione rispetto al gas che passava dall’Ucraina ci vorrà comunque. Le forniture di gas dall’Ucraina finora erano di 15 miliardi di metri cubi circa, ma prima della crisi si era arrivati a 40. Flussi che andavano ancora verso Austria, Ungheria, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, ciascuna delle quali subisce un impatto, anche se minimale. C’è comunque un altro fatto molto importante da tenere in considerazione.
Quale?
Che i consumi di gas continuano a calare, sono circa il 20% meno di quanto fossero prima della crisi. Gli stoccaggi, invece, sono confortanti: all’inizio di novembre erano al 95% della capacità. In conclusione, grazie ai flussi alternativi, come il gas liquefatto, la riduzione dei consumi e la diversificazione degli approvvigionamenti, non ci sono eccessivi allarmismi, anche se i mercati sono sensibili e c’è stata una rivisitazione dei prezzi che ha impattato pure sull’elettricità.
La fine del passaggio del gas russo dall’Ucraina rappresenta in qualche modo la conclusione di un’epoca?
Dobbiamo interrompere l’importazione di gas dalla Russia: legarsi mani e piedi a qualcuno è rischioso, come sarà rischioso in futuro aver fatto la scelta, per me scellerata, di dipendere unicamente dalle rinnovabili sulle auto elettriche, il che ci rende completamente dipendenti dalla Cina quanto alla tecnologia, alle materie prime e alla manifattura di questi prodotti. È importante che impariamo la lezione. Poi, ogni dipendenza presenta i suoi rischi, anche se preferisco dipendere dall’America che dalla Russia o dalla Cina. Comunque, bisogna diversificare sia i Paesi che le fonti di energia.
Ma la transizione energetica a livello mondiale è effettivamente in atto?
Uno dei lasciti del 2024 è che carbone e petrolio hanno conosciuto nuovi massimi storici. Le fonti fossili continuano a dominare e, per quanto siano cresciute le rinnovabili, non hanno minimamente scalfito questo dominio. Oggi le fossili contribuiscono per l’80% dei consumi energetici nel mondo, così come 40 anni fa. La transizione energetica è ancora al palo: le fonti fossili non sono mai state così importanti come adesso.
(Paolo Rossetti)
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