Stop al MES: capitolo chiuso. Il dossier doveva essere rinviato a gennaio, invece la Camera ha accelerato e deciso in fretta. E ha bocciato la ratifica del Trattato di riforma. La decisione di votare entro Natale dimostra che le differenze tra i partiti di maggioranza c’erano e ci sono, ma sono risultate superabili: Forza Italia si è astenuta, Lega e FdI hanno votato contro. Ai loro voti si sono aggiunti quelli di M5s, per un totale di 184 voti contro la ratifica, 72 a favore (Pd, Azione, Iv, +Europa) e 44 astenuti (Avs, FI e Noi moderati).



Tempo di bilanci, dunque. Lo facciamo innanzitutto con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano, che iniziò ad occuparsi di Fondo salva-Stati nel 2012 per rispondere ad alcune domande del Sussidiario, da allora contrario, e che in un suo libro del 2020 ha definito il MES “trattato impossibile”.



Professore, la legge di ratifica del trattato di riforma del MES è stata respinta. Il dossier-MES è chiuso?

Di definitivo in politica c’è poco, però mi pare difficile negare che con il voto di ieri si apre un altro capitolo della vicenda MES, che va avanti dal lontano 2012. In teoria, a prezzo di grosse forzature del Regolamento della Camera, la questione non potrebbe essere riproposta prima di sei mesi. In realtà bisognerebbe ripartire da capo. Ma, questioni procedurali a parte, c’è una cosa molto interessante da notare.

Quale sarebbe?

Dopo la notizia dell’approvazione, guarda un po’, lo spread italiano non è salito, come vaticinavano alcuni interessati profeti di sventura, ma è sceso. Segno che con questo voto si è dato un messaggio chiaro ai mercati internazionali, i quali sembrano averlo accolto.



Ma questo è solo il quadro giuridico. Il minimo sindacale, direi.

Infatti. Il dato più rilevante è quello politico. Politicamente questo non è un rinvio a sei mesi – almeno – , ma il No definitivo ad una riforma inutile e pericolosa, sostenuta con argomenti risibili, di cui si parla dal 2017. Ed è un No che avvierà, plausibilmente, un processo di ripensamento di quel curioso animaletto ibrido che è il MES. Si ricorda l’audizione di Giampaolo Galli nel settembre 2019?

Definì la riforma del MES “una pistola puntata alla tempia dei risparmiatori italiani”.

Ecco, appunto. Ce lo ricordiamo il MES “sanitario”, gli esperti economici che parlavano di MES in diretta senza avere neppure sfogliato i trattati, gli economisti televisivi che credevano che una lettera semplice di Gentiloni e Dombrovskis valesse una legge?

Una pressione mediatica mai vista. Magari in buona fede, chissà.

Io non so se tutti questi signori fossero in buona fede o meno. E non mi interessa. Sono solo contento che da oggi si apra una fase nuova, in cui si potrà discutere di cosa fare di questo reperto archeologico dell’età del debito sovrano che dal 2014 tiene inchiodati 105 anni miliardi di euro a fare nulla. E cioè dall’età di Monti, per capirci, e dei suoi ministri.

Uno dei quotidiani pro-ratifica stamattina apre con il mega-titolo: “Mes, strappo con l’Europa”, un altro evoca il “gelido silenzio del Colle”.

Io credo che all’Europa – ad una certa Europa – con questo voto si sia fatto un favore. E da oggi in poi si potrà cominciare a ragionare su nuove basi di questo rudere istituzionale. E forse si riuscirà a trasformarlo in qualcosa di utile.

Anche Palazzo Chigi ha aperto a questa ipotesi. Lo si potrebbe trasformare in che cosa, esattamente?

In un fondo sovrano europeo che operi per lo sviluppo di un Continente che attraversa la crisi peggiore dai tempi della Seconda guerra mondiale, solo che non ce ne siamo accorti. Così come non ci si è accorti che, levando questa “pistola puntata alla tempia dei risparmiatori italiani”, abbiamo levato una pistola puntata alla tempia del sistema finanziario italiano. E del Paese. Ma è normale.

Che cosa è normale, scusi?

Bismarck diceva: “Quanto meno la gente sa come vengono fatte le salsicce e le leggi, tanto meglio dorme”. Ecco, è bene che sia così. Come è bene che da qualche parte ci sia chi opera per chi non ha tempo e voglia di capire cosa si è schivato con quel voto.

La preoccupava di più il MES o il negoziato sul Patto di stabilità?

Ero molto più preoccupato del MES. Mettiamola così: con quel voto qualcuno ha rimandato il Gurzo (mostriciattolo ibrido di Mai dire domenica, ndr) nella tana. Vediamo di farcelo restare.

Nell’Europa di Maastricht quasi tutto è vincolo esterno. Però il MES rappresenta ed ha preteso di esercitare il vincolo esterno in maniera nuova e originale, quella di un “Meccanismo” super-invasivo di disattivazione e controllo della sovranità economica e politica. Quale eredità ci lascia il Fondo salva-Stati?

Quella di un esperimento fallito. Prima lo si accetta, meglio è. In realtà all’Europa del MES interessa poco o niente. Ma interessa molto a certe parti della politica italiana che sollecitano interventi esteri per cavalcare la questione. E gli interessa non da oggi, perché la sponda europea è ciò che sorregge queste forze. Un poco interessa alle casse locali tedesche, ma hanno il peso che hanno. Si dice che interessi per la situazione non proprio rosea di Deutsche Bank, ma è un’affermazione poco credibile.

Perché?

Perché se salta Deutsche Bank il MES non è sufficientemente capitalizzato per intervenire efficacemente. Viene giù tutto. E allora alla BCE toccherebbe fare la Banca centrale. Proprio così: l’Europa è l’unica parte del mondo che non ha una Banca centrale, cioè una banca che garantisca illimitatamente risparmiatori e sistema bancario. Ce ne rendiamo conto?Siamo furbi noi e scemi gli altri, come si crede a Bruxelles e a Francoforte, oppure gli scemi siamo noi? È una cosa che mi ha sempre stupito.

Che cosa resta del MES, oggi, dopo il No alla sua riforma?

Guardi, se fosse un ente pubblico interno, il MES sarebbe stato definito l’inutile carrozzone che è, e se ne sarebbe chiesto lo scioglimento con gli stessi argomenti usati due anni fa per il taglio dei parlamentari. E cioè cricca, casta, corruzione. Solo che in questo caso sarebbero casta, cricca e inefficienza. Basterebbe spiegare – come hanno fatto bene Lidia Undiemi e Giuseppe Liturri nel convegno a Pescara di “a/simmetrie” due settimane fa – che lo stipendio medio, al MES, dall’usciere al direttore generale, è di 280mila euro. Altro che polemiche sul costo dei parlamentari.

E non c’è solo questo, vero?

Assolutamente no. Basterebbe spiegare che in tempi di tassi al 4,5%, in cui tutte le istituzioni finanziarie hanno guadagnato come mai negli ultimi anni, i funzionari del MES sono riusciti ad andare in perdita nella gestione del loro portafoglio. Mi sa trovare un’altra istituzione che può funzionare senza responsabilità e senza controlli che non siano “interni”? E cioè non-controlli? Senza responsabilità e controlli una istituzione finanziaria che stimolo ha ad operare? Una normale istituzione finanziaria deve rendere conto della sua gestione agli azionisti, il MES invece non risponde a nessuno. E i soldi che ha perso dormendo sono soldi nostri. Questo, se ci pensiamo, ha del clamoroso.

La nostra decisione parlamentare rischia di avere conseguenze da parte europea?

Quali conseguenze ha patito la Germania quando, ultima a ratificare nel 2012 ha imposto a tutti gli altri Paesi delle riserve – e cioè delle deroghe –  mai passate nei parlamenti nazionali? In un trattato multilaterale c’è sempre un primo e un ultimo a ratificare. Stavolta è stata l’Italia. E, mi creda, ha fatto un favore a tutti gli altri.

Quindi che l’Europa sia bloccata dall’Italia che non ratifica il MES…

È semplicemente una stupidaggine che è stata messa in giro per fini interni anni fa. E che continua ad essere usata per fini interni. Una buona frottola non si butta mai via: serve sempre.

Il no al MES è la seconda di due novità importanti in meno di 24 ore. L’altra è stata il sì “inevitabile”, in uno “spirito di compromesso” – ha detto il ministro Giorgetti – all’accordo sul Patto di stabilità. Due domande. La prima: che cosa pensa della traiettoria di rientro del debito tratteggiata nelle informazioni al momento disponibili

Questo è il punto vero. Le cose si chiariranno man mano nei prossimi mesi. Perché una cosa sono le dichiarazioni e i comunicati stampa, un’altra sono i testi normativi che si stenderanno ed entreranno in vigore. Si ricorda il PNRR del luglio 2020? Ci sono voluti quattro mesi perché venisse alla luce. Lo stesso succederà con questo “nuovo” Patto di stabilità. Ma, per una volta, posso farle una domanda io?

Prego.

Lei crede davvero che in un Paese che non fa investimenti infrastrutturali seri da almeno vent’anni ed in cui i nodi dei mancati investimenti in nome del pareggio di bilancio sono venuti al pettine, non ci si renda conto che, per gestire una situazione di crisi che li ha riportati al 2004, quando la Germania era il malato d’Europa, c’è bisogno di clausole di flessibilità?

Lei cosa dice?

Io, per metodo, non sono mai ottimista, ma non riesco a credere che siano così folli da non predisporre meccanismi di modulazione delle regole generali che scriveranno in rapporto ai cicli economici. Una cosa è la regola, un’altra le eccezioni che le consentono di funzionare in linea con la realtà. Vedremo quel che ci sarà scritto.

E la realtà è davvero poco promettente. Un mese e mezzo fa lei stesso parlava di una Europa costruita per funzionare senza politica, destinata alla recessione.

Lo confermo. Siamo in una Unione che non sa più cosa fare, ma non può sconfessare le politiche e le dichiarazioni degli ultimi quattro anni. Ecco, non mi pare che in questo quadro quella del MES sia una grande questione europea. È una questione italiana, europea solo in minima parte.

(Federico Ferraù)

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