Abuso addio. Non ci mancherà, statene certi. Da quando lo scontro tra politica e magistratura è sorto, per capirci da Mani Pulite trenta anni fa, il reato è stato rivisto, rimaneggiato, riscritto e interpretato innumerevoli volte. Sempre provando a definire cosa sia un abuso. La materia è ostica. Nell’abuso non girano denari, se così fosse sarebbe altro. È una condotta che si concretizza se un pubblico ufficiale agisce per favorire o svantaggiare qualcuno. Anche se costui ne sa poco. Diventa perciò essenziale capire se intimamente un soggetto che deve scegliere, firmando un atto, lo abbia fatto in buona fede.
E qui viene il bello. Perché chiunque sceglie, alla fine, reca un danno o un vantaggio. E spesso lo fa senza neppure saperlo. Ma la magistratura indaga, sequestra a volte arrestava solo perché ne aveva il sospetto. Di qui il terrore che ogni decisione presa finisse nelle mani di un procuratore e ne scaturisse un pandemonio.
Sia chiaro: a voce bassa tanti politici locali di destra e sinistra, tanti funzionari, applaudono. E sono molti a sinistra, ben inteso. Ed ora che pare sia pronta la definitiva elisione del reato, si può anche dire che la campagna sulla giustizia della Meloni procede. Senza i proclami di inizio governo ma incidendo dove faceva più male.
Va detto che le opposizioni sono contrarie, ma è solo scena. Chiunque abbia amministrato anche a Roccapiripizzoli di Sotto sa che firmare un qualsiasi atto è come gettarsi da un ponte legati ad un elastico sperando che regga. Ogni volta. E così non si governa.
Ma questa abrogazione è figlia, come altre iniziative, anche del venir meno del principale antagonista delle forze avverse alla sinistra. Senza Berlusconi non ha più senso logico portare in piazza girotondi, folle e benpensanti. Era lui che univa. La lotta contro di lui. Ora che non c’è più, i reati appaiono per quel che sono: strumenti di controllo, non argomenti di lotta. Ed infatti Calenda e Renzi hanno marcato la differenza. Mettendosi di lato e di fatto sostenendo un’abrogazione che il buon senso suggerisce utile anche a togliere terreno ad una magistratura oggi sempre più smarrita e perciò alla ricerca di nemici.
Sul piano sociale, sia ben chiaro, la rivoluzione imporrà ai magistrati di trovare le prove di corruzione o concussione e riportare le indagini sulla traccia dei soldi e delle utilità. Insomma gli amministratori locali saranno più sereni, ma stiano attenti anche a chi gli offre un caffè o li invita a cena. Dovranno pagare sempre loro se non vorranno cadere sotto la scure dei pm.
Ora si aspetta la fase due del cammino di Giorgia Meloni, ovvero la separazione delle carriere. A cui si arriverà, perché, nonostante quello che dicono, anche tanti dell’opposizione la guardano con interesse. Il Paese è cambiato, non c’è più il Caimano. È ora che ne prendano atto le toghe e chi le sostiene dai tempi del populismo giudiziario. Giorgia, che di populismo se ne intende, sa che ora gli italiani vogliono le tasche piene e le cose fatte. Sa che fallire sul PNRR è sull’economia è l’unico peccato che gli elettori non perdonerebbero. Che poi lo si faccia facendo qualche abuso, conta meno.
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