Con 339 voti favorevoli (e 249 contrari), il Parlamento europeo ha deciso che dal 2035 non si potranno più vendere in Europa auto a benzina e gasolio. Un anno che forse ci sembra lontano, ma se guardiamo indietro a 12 anni fa scopriremmo che eravamo più o meno nella situazione produttiva, politica e sociale di oggi con Biden già vice di Obama alla Casa Bianca: il tempo passa presto. Un voto europeo contrastato, che forse potrà segnare l’inizio di una svolta ecologica memorabile, ma che potrebbe anche dimostrarsi un disastro per l’Europa spingendola verso un periodo di estrema difficoltà nei confronti del resto del mondo.



Voler essere a tutti i costi i “primi della classe” senza che lo stesso sforzo ecologista sia affrontato, concordato, imposto e soprattutto risolto nel resto del pianeta non ha e non avrà alcun serio impatto sulla CO2 mondiale, un po’ come l’ipocrisia tutta italiana di porre il veto all’energia nucleare salvo poi importarla a caro prezzo da centrali che la producono appena a due passi dai confini nazionali.



Certamente restano ampie zone d’ombra ancora tutte da definire, a cominciare dal capire se le auto si muoveranno solo a energia elettrica anziché bruciando idrocarburi (visto che l’idrogeno sembra ancora molto in affanno): dove e come verrà prodotta tutta questa energia necessaria per muovere il continente? 

Difficile che Usa, Cina, India e i grandi altri mega-Paesi della terra seguano l’Europa su questa strada e chissà se Bruxelles abbia tenuto conto di quanto l’Europa perderà in competitività produttiva e conseguenti posti di lavoro diretti e nell’indotto con una caduta drammatica di ricchezza generale. Soprattutto o si trovano alternative sostenibili massive per la produzione di energia elettrica (nucleare?) o – se l’energia venisse ancora prodotta da centrali termiche tradizionali – si riaprirebbero ampie finestre inquinanti appena chiusa la porta.



Ammesso poi che nel prossimo decennio la scienza faccia straordinari passi avanti (cosa che però non è avvenuta nel settore in questi ultimi anni), dove l’Europa potrebbe approvvigionarsi per tutte le componentistiche “verdi” comunque necessarie per produrre i nuovi mezzi di locomozione?

Parlare di batterie (e relativo smaltimento), di tempi e luoghi di ricarica, della movimentazione di tutti i veicoli commerciali e pesanti (che pur inquinano infinitamente di più delle auto) apre un dibattito che appare solo sfiorato, ma che intacca già da subito la praticità, la convenienza e anche la logica del recente provvedimento europeo.

Forse l’utilizzo contemporaneo di più fonti energetiche sarebbe una soluzione (come avviene per l’ibrido) e sicuramente la ricerca dovrebbe soprattutto puntare a consumi sempre più ridotti e quindi a minor inquinamento. 

Soprattutto andava maggiormente considerato che – in buona sostanza – le fonti più inquinanti di CO2 non sono le vetture, ma i mastodontici impianti industriali nei vari settori che “sporcano” il mondo, così come lo sfruttamento intensivo di altre ricchezze naturali di difficile rimpiazzo. 

Perché insomma fermare le auto a benzina e non la pesca scriteriata negli oceani o il taglio delle foreste, perché non puntare a nuovi mezzi di trasporto di massa (ferrovia) piuttosto che individuali, a nuovi materiali che “rendano” molto di più in tempi di utilizzo e costi energetici e soprattutto nel risparmio di materie prime per realizzarli?

Di tutte queste cose si parla troppo poco, ma sono invece il vero nocciolo del problema. Tra l’altro già intorno a questo voto si sottolineano vistose incongruenze: io non potrò usare più acquistare il mio piccolo diesel (25 km con un litro di gasolio!), ma porte aperte a una Ferrari da centinaia di cavalli e che ben pochi si possono permettere perché la produzione di nicchia è già stata abilitata a superare le norme: si premia insomma il ricco pur inquinatore? Forse la strada non sono i divieti, ma i controlli sulle emissioni, limiti stringenti sui consumi, velocità massime da ridurre e manutenzioni da aggiornare, per stare solo nel settore dell’auto.

Chissà se tra 12 anni si andrà a comprare l’auto in Svizzera – perché extra Ue – e che scelte future faranno i marchi americani o asiatici che coprono la gran parte del mercato mondiale e sono pronti a schiacciare la pulce europea i cui modelli rischiano di non essere più competitivi.

Il futuro ci dirà il grado di demagogia insito in questa decisione, sperando che alla base ci siano stati dati scientifici seri e non soprattutto polveroni di propaganda valutando una proporzione equa tra i risparmio energetico, sostenibilità e sviluppo. 

Intanto, stiamo all’attualità: quanto consuma un carro armato e quanto inquina un bombardamento? Più che troppo, in ogni caso!

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