Giusto il tempo di sottolineare nei commenti come Giorgia Meloni sembrasse una continuatrice delle posizioni dell’Italia in Europa, che – come è apparso chiaro nella sua conferenza stampa di fine anno – ecco che la premier ha cominciato ad inanellare dei distinguo, sassolini lanciati a Bruxelles che nei prossimi mesi potrebbero diventare ben più dirompenti.



Un esempio: l’estrema chiarezza con la quale si è esposta contro il divieto – che dovrebbe entrare in vigore nel 2035 – di produrre in Europa motori funzionanti con la combustione di materiali fossili, in primis benzina e gasolio.

Insomma, finiti i rituali giri di valzer delle strette di mano e le conferme sulle principali linee di politica estera e comunitaria, ecco che la Meloni sembra coscientemente avviarsi a raccogliere le scontate critiche del mondo ambientalista.



La linea del governo non si discosta molto, peraltro, dal prudente scetticismo già espresso da Cingolani sul programma “Fit for 55” soprattutto quando dalla teoria bisogna passare alla pratica. In sé l’idea è infatti giusta e condivisibile: ridurre le emissioni nocive volgendosi verso produzioni “verdi”, limitando la combustione e privilegiando i motori elettrici, ma imponendo conseguenti e pesanti nuovi costi al sistema produttivo, soprattutto in quei Paesi – come l’Italia – che non possono disporre di energia nucleare.

Le parole della Meloni hanno subito fatto rumore, anche se annegate in una conferenza stampa di tre ore, e infatti sono state subito bene intese dalle parti interessate.



La posizione della Meloni non è personale: anche il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini aveva dichiarato – durante l’ultimo Consiglio Ue – come la progettata fine dei motori diesel e benzina fosse il risultato di un “integralismo pseudo-ambientalista”, e che “mettere fuori legge queste motorizzazioni dal 2035, chiedendo anche di passare all’Euro 7 dal 2025, non ha nessun senso economico, ambientale e sociale, oltre al rischio di lasciare in mezzo alla strada decine di migliaia di operai”. Salvini (e non solo lui) teme che il nostro Paese – ancora così lontano dall’elettrico – subisca per scelta europea la dittatura produttiva cinese, visto che la Cina è indubbiamente più avanti sull’elettrificazione, una presenza che andrebbe ulteriormente ad incidere sulla nostra economia.

Anche Giancarlo Giorgetti e Roberto Cingolani, ministro del precedente Governo Draghi, avevano manifestato in più occasioni il loro dissenso. Secondo l’ex ministro della Transizione ecologica non aveva senso puntare tutto sull’elettrico, tenuto conto che anche la stessa Ue avrebbe dei dubbi sui benefici dello stop ai motori termici entro il 2035. In particolare è stato recentemente lo stesso Thierry Breton, commissario Ue al Mercato interno e all’Industria (quindi proprio uno dei membri dell’organo che ha avanzato la proposta della nuova misura sull’elettrico, forse troppo frettolosamente approvata da Consiglio e Parlamento Ue) ad esprimere la sua preoccupazione. Per questo motivo Breton ha proposto la creazione di un Fondo comunitario e una revisione legislativa già dal 2026 per controllare i passaggi e lo sviluppo della transizione energetica.

Angelo Sticchi Damiani, presidente Aci, in una nota rivolge “Un plauso al coraggio e alla chiarezza del premier Giorgia Meloni, che afferma una verità ormai diventata verificabile da chiunque, ovvero che la messa al bando delle vetture endotermiche nel 2035 sia stata una scelta davvero poco sensata”. Ricordando che già dal 2019 questa era stata la posizione dell’Aci, Sticchi Damiani sottolinea “Che ci sono adesso le condizioni per rivedere finalmente quella scadenza e le politiche che l’hanno generata, pur mantenendo l’obiettivo della riduzione delle emissioni climalteranti e del raggiungimento della massima sostenibilità ambientale, nell’interesse non solo del comparto automobilistico nazionale ma anche dei cittadini italiani”.

È l’inizio di una nuova politica italiana verso l’Ue?

Forse. Sicuramente la Meloni ha già fatto capire che non intende stare zitta su molte tematiche e che non esiterà a scontrarsi in tutta una serie di problematiche ecologiche, morali, etiche e comportamentali contro il “politically correct” europeo, pur dando per scontato un potenziale e prevedibile fiume di critiche.

D’altronde la Meloni interpreta bene anche la “pancia” non solo dei suoi elettori, ma per esempio di quelli che affrontano quotidianamente la realtà legata alle progressive chiusure al traffico dei centri urbani senza alternative di trasporti e parcheggi pubblici e vuole scuotersi dagli auto-condizionamenti che deprimono fortemente l’economia europea.

Sono solo segnali indicatori della volontà di affrontare tante altri dossier già scritti da Bruxelles e accolti senza battere ciglio dai governi precedenti.

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